La pista dell’aeroporto di Ciampino è ancora una lastra di cemento incandescente quando, alle sette di sera, con il sole ancora alto, le nove bare coperte dalla bandiera italiana scendono sul nastro trasportatore dalla pancia del C130 atterrato da Dhaka.

In fila i commessi delle pompe funebri con i guanti bianchi le sbarcano sul suolo italiano davanti a una piccola folla di parenti, tra cui alcuni sindaci con la fascia tricolore, e le altre autorità: il capo dello Stato Sergio Mattarella e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, vestiti in bianco e nero esattamente come i commessi dall’altro lato della pista. Dopo gli onori di Stato e la benedizione del cappellano militare i feretri vengono trasferiti alla morgue del Policlinico Gemelli dove oggi i corpi saranno sottoposti a una dettagliata autopsia, comprensiva di Tac.

I dubbi che non tutti e nove gli italiani morti nell’Holey Artisanal Bakery della capitale bengalese sono più che giustificati. Ieri la polizia locale ha rivelato ai reporter di Sky news di Dhaka che uno dei sei uomini uccisi durante il blitz delle teste di cuoio non era un terrorista. Era un cuoco, un pizzaiolo per essere precisi, si chiamava Saiful Islam Chowkider, aveva quarant’anni. In verità è stata la moglie, Sonia Akter – al settimo mese in gravidanza – che con uno sguardo duro come l’acciaio, ha mostrato ai giornalisti di tutto il mondo arrivati sabato sul luogo dell’attentato la sua foto sul display del telefonino con il grembiule blu della pizzeria. In effetti la polizia ha parlato subito di un commando di sei uomini ma ha aggiunto che solo cinque erano stati identificati. E ha poi lasciato per giorni nel vago l’identità del sesto uomo. Ma fin dal giorno dopo era ben strano che Saiful fosse l’unico del gruppo a non aver registrato alcun video annunciando il martirio.

Ieri alla fine la polizia in forma anonima ha ammesso di aver scambiato per un terrorista un cuoco che era solo un ostaggio e poteva salvarsi, a scusante le autorità hanno detto che gli agenti si sono ingannati sul suo ruolo nella pizzeria perché Saiful indossava un grembiule bianco. É possibile che i terroristi lo abbiano risparmiato: Saiful era un buon musulmano e sicuramente sapeva a memoria più di un versetto del Corano.

La moglie lo attendeva per domani, insieme al resto della famiglia, nel sobborgo di Narhia, dove sarebbe dovuto tornare per la festa della fine del Ramadan, l’Eid al-Fitr, ma si è subito insospettita che qualcosa fosse successo quando il suo cellulare ha iniziato a squillare a vuoto. Saiful lavorava come pizzaiolo in quel maledetto locale del quartiere Gulshan da un anno e mezzo dopo aver lavorato in Germania per dieci anni. Le teste di cuoio bengalesi hanno avuto 12 ore di tempo per capire chi non dovevano proprio colpire, come lui. Tanto è durato infatti l’assedio al ristorante prima del blitz con mezzi blindati e armi pesanti. A quel punto per i nove imprenditori italiani probabilmente non c’era già più nulla da fare: erano stati sgozzati dai cinque ventenni jihadisti, come ha raccontato ieri sul Daily Mirror un superstite testimone oculare di gran parte del massacro. Ma per Saiful no, per lui sarebbe stato ancora possibile salvarsi.

Mentre le salme degli nove italiani e dei sette giapponesi ieri hanno preso la via del rientro in patria, a Dhaka le indagini hanno portato all’arresto di un professore universitario, Hasnat Karim della North and South University di Dhaka. Il professore, che ha studiato a New York, si trovava venerdì sera a un tavolo della pizzeria con moglie e figli per festeggiare il compleanno di un nipotino e le telecamere lo hanno ripreso mentre conversava con gli studenti jihadisti. I suoi parenti sono stati rilasciati dai sequestratori e lui non sarebbe stato torturato ma la polizia, che lo ha a lungo interrogato, sospetta che sia una sorta di «grande vecchio» del commando, cosa che il professore nega recisamente.

Magari invece avrebbe potuto essere l’uomo della mediazione che la polizia bengalese non ha neanche preso in considerazione.