Il decreto firmato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio di concerto con i colleghi dell’Interno Luciana Lamorgese e della Giustizia Alfonso Bonafesde si colloca esattamente nella tradizione recente sul restringimento del campo dei diritti.

Eppure, avevamo sperato in una nuova politica della ragionevolezza, concreta e rispettosa delle persone, senza fughe in avanti umanitarie o terzomondiste. Ma, da un’aspettativa della discontinuità che per opportunità politica aveva rinviato nel tempo una revisione dei decreti legge sicurezza uno e due, siamo passati a misure per la loro concreta attuazione. Un decreto che non serve a nulla, se non alla propaganda in feroce continuità con il precedente ministro dell’Interno. Dev’essere chiaro a tutti che in mancanza di accordi di riammissione non cambierà nulla, ma si aggraverà ulteriormente la posizione di chi avrebbe potuto sperare in un onesto esame della propria sfortunata storia personale. E invece no!

Continuiamo a costruire l’incertezza sul futuro delle persone, così come si è fatto con la soppressione della protezione umanitaria.
Non si tratta di essere buoni o cattivi, ma di volersi fermare un attimo per capire: i rimpatri che si possono fare in misura consistente sono quelli volontari sostenuti dai fondi europei, quelli forzati sono solo una bandiera ideologica perché la riammissione nei paesi di origine determina fibrillazione nei paesi stessi e quindi una resistenza forte ad accettare politiche di rimpatrio. Va quindi riservata ai numeri limitati dei casi essenziali.

Allo stesso modo è illusorio, e ci proviamo dal 2016, chiedere a paesi come Libia e Tunisia e lo stesso Marocco di rendersi disponibili a realizzare centri di accoglienza per impedire il transito verso l’Unione europea; le sole politiche che possono consentire una corretta gestione del fenomeno migratorio sono l’apertura anche se limitata nei numeri di ingressi legali per lavoro, i canali umanitari per le persone vulnerabili e in condizioni di ottenere la protezione internazionale, il sostegno a politiche di sviluppo e occupazionali nei paesi del nord Africa per ridurre la forbice di diseguaglianza che è ormai diventata insopportabile. E tutto questo va fatto assieme in un percorso condiviso che la casa comune europea deve saperci offrire.

* Direttore Cir