Con la rivendicazione degli attentati di Bruxelles, gli addetti alla comunicazione dello Stato islamico sono stati veloci. Più ancora che per Parigi, quando la prima rivendicazione è stata resa pubblica solo il giorno dopo gli attacchi del 13 novembre che hanno provato 130 morti. Nel caso di Bruxelles, dopo qualche ora è arrivato il primo messaggio.

Affidata all’agenzia stampa Amaq, distribuita attraverso Telegram, in inglese, la nota si riferiva all’azione dei «combattenti dell’Is» contro un «Paese che partecipa alla coalizione internazionale contro l’Is». In seguito, è stato diffuso un comunicato ufficiale in diverse lingue, in cui venivano elogiati i «soldati del Califfato» per l’uccisione di 40 persone e il ferimento di 210 «cittadini degli Stati crociati». Il cambio di tono non è casuale: Amaq, pur affiliata al sistema di propaganda dell’Is, vuole presentarsi come un’agenzia stampa vera e propria, con linguaggio neutro e i classici ritornelli sulle «breaking news». I comunicati ufficiali invece strizzano l’occhio ai simpatizzanti, attingendo alla retorica sulla battaglia contro i crociati.

Il Califfo pensa in grande. Mira alle conquiste territoriali, in Siria e Iraq, ai colpi militari e terroristici contro il «nemico lontano», l’Occidente, ma sa che la vera legittimazione passa per il consenso. Che va costruito passo dopo passo. Attraverso una gamma ampia di strumenti di informazione e propaganda. In Occidente, il più conosciuto è Dabiq, rivista lanciata il 5 luglio 2014 e rivolta ai lettori di lingua inglese. Nasce dalla fusione di due precedenti canali di informazione, e rappresenta il tentativo di integrare azioni militari e di governance all’insegna di una coerente visione religiosa. Ma la rivista Dabiq è soltanto uno dei canali di comunicazione in un sistema complesso, che risponde a obiettivi strategici diversi, diffusi attraverso canali differenti. La produzione è ampia, e si è fatta sempre più sofisticata.

Secondo i dati raccolti dal ricercatore Charlie Winter, ogni giorno la macchina mediatica dell’Is produce mediamente tre video e più di 15 resoconti fotografici, oltre a un bollettino radiofonico diffuso in diverse lingue. A cadenza mensile, vengono distribuiti altri prodotti editoriali, tra cui lunghi filmati militari e varie canzoni di incoraggiamento (nashid), realizzate da un’apposita unità mediatica, la Fondazione Ajnad. Altri prodotti editoriali vengono realizzati, con minore regolarità, dalle tre unità centralizzate della propaganda: la fondazione al-Furqan (la più longeva), che diffonde anche i comunicati ufficiali del gruppo; la fondazione al-Itisam e il centro per i media al-Hayat.

A questi centri vanno aggiunti gli uffici provinciali, l’agenzia stampa Amaq e la stazione radiofonica al-Bayan, che racconta le operazioni militari. Gli uffici mediatici provinciali arrivano a coprire due terzi dell’intera produzione, un segno evidente di quanto il sistema editoriale si sia espanso, decentralizzato e migliorato. Tra i prodotti editoriali, la maggior parte sono visivi. Tutti sono realizzati in arabo, solo una minima percentuale viene tradotta in altre lingue. E che la prima «rivendicazione» su Bruxelles sia stata pubblicata sull’agenzia Amaq, in inglese, la dice lunga – ha ricordato Winter su The Atlantic – di quanto gli strateghi della comunicazione siano abili nel dettare la linea al sistema mediatico globale.

La nota dell’agenzia Amaq era rivolto a noi, al pubblico occidentale. Ma la produzione mediatica del Califfo mira a consumatori e pubblici di natura diversa. Gli analisti distinguono alcune categorie: oppositori, pubblico internazionale, membri attivi del gruppo, potenziali reclute, disseminatori del messaggio, predicatori e ascoltatori. Ai simpatizzanti, viene detto che l’ora delle decisioni si avvicina, che è urgente rispondere all’appello al jihad. O, come nel caso di Bruxelles, che il Califfato è forte e vincente (a dispetto delle recenti, limitate perdite territoriali in Siria e Iraq). Ai nemici, vengono fornite buone ragioni per restare intimiditi, per reagire in modo frettoloso e controproducente.

A chi ha già aderito alla causa, viene confermata la legittimità della scelta. Che si tratti di una scelta teologica, ideologica, politica o strumentale, la propaganda offre comunque una buona ragione. Lo Stato islamico ha legittimità religiosa; è una forma di resistenza agli abusi subiti dai musulmani; offre garanzie per il futuro. Gli oppositori devono sentirsi minacciati, il pubblico ostile oltraggiato, i membri attivi del gruppo legittimati; le frustrazioni e le ambizioni delle potenziali reclute vengono dirottate verso un’adesione più attiva e completa. Per soddisfare una platea così diversificata, la macchina della comunicazione segue una pluralità di coordinate tematiche.

Quelle più conosciute dal pubblico occidentale hanno a che fare con la violenza. L’attenzione per la brutalità dell’Is è legittima, ma – nota giustamente Winter nel saggio Documenting the Virtual Caliphate – rischia di nascondere la complessità della macchina della propaganda. Catturati dalle immagini violente, dalle decapitazioni e dalle azioni più aberranti, assumiamo una parte per il tutto.

L’esibizione della violenza ha una valenza tattica: oltraggia il pubblico ostile, specie quello occidentale, e gratifica i sostenitori del Califfato. Ma la violenza è soltanto una tra le coordinate tematiche intorno alle quali si snoda la strategia mediatica dell’Is. Per Charlie Winter, che ha esaminato l’intera produzione del gruppo nei dodici mesi successivi alla dichiarazione del Califfato, sono sei le aree tematiche più ricorrenti: brutalità, misericordia, vittimizzazione, guerra, appartenenza e utopia. Perché sono tanti i compiti che il Califfo affida alla macchina della propaganda.

Una macchina che, in sintesi, tiene insieme due aspetti centrali.

Da una parte il continuo riferimento alla prospettiva millenarista e apocalittica, garanzia di attivismo e reclutamento e di legittimità religiosa. Dall’altra l’enfasi sul carattere statuale, già realizzato, delle istituzioni del Califfato, fondate sui precetti religiosi. Tramite i suoi canali di comunicazione, al-Baghdadi si rivolge a un pubblico ampio e differenziato. Gli adepti, i simpatizzanti, le potenziali reclute, i rivali, gli antagonisti, i nemici «lontani» e «vicini». A ognuno destina un messaggio diverso. A tutti manda a dire che il Califfato «è qui per restare». «Baqiya wa tatamaddad», rimanere ed espandersi. È questo il motto del movimento.