Ogni tanto nelle vicende della musica contemporanea un evento ci vuole. Lo è senza dubbio il concerto del pianista Erik Bertsch alla Sala Casella della Filarmonica romana. Un programma con musiche di Marco Stroppa. Sono di una singolarità esaltante. Le musiche di cinque delle sette sue Miniature estrose, scritte tra il 1991 e il 2010. Inframmezzate, per aggiungere meraviglia a meraviglia, da una serie di brevi pezzi di György Kurtág tratti dalla raccolta intitolata Játékok elaborata tra il 1973 e il 2017.

IL CARATTERE delle Miniature è rigore più voluttà. Anzi un mix magistrale dei due aspetti. Si ascolta la delicatezza estrema dell’avvio di Passacaglia canonica – ogni Miniatura ha un titolo e una dedica – e subito i secchi accordi in contrasto-dialogo e subito l’apparizione di quegli episodi in trilli che costellano tutti questi lavori. Sembrano opere di un mondo incantato, macché, meglio stare attenti: sono opere di un soggetto ben presente nel mondo, quello che ci è dato di vivere, e lo osserva e interviene con pacatezza gioia e pensiero. C’è molta logica e consequenzialità al di là degli accenti improvvisi. Stroppa qui agisce secondo una costruzione «classica», non secondo quella nuova tradizione di procedere per suoni singoli o blocchi sonori isolati, autonomi. Usa frasi, in sostanza.

Le cascatelle «graziose» di suoni in Tangata Manu fanno venire in mente una domanda: c’è del decorativismo? E la risposta: e se anche fosse? Sono lontani i tempi della rigidità ascetica, del razionalismo assoluto (che pure hanno dato i loro buoni frutti!). Ampia libertà, ora, di brevi scalette ascendenti e discendenti e di imprevisti accenni free. Tanto più che l’approccio, la filosofia, la visione (o come diavolo vogliamo dirlo) sono tutt’altro che ornamento del reale, casomai riflessione rilassata, aperta sul reale. E tra una Miniatura e l’altra le delizie spregiudicate di Kurtág. I suoi Giochi. Chi non vorrebbe giocare con Kurtág? Con le saltellanti note di Face to Face o con la struggente meditazione di Ligatura?
Bertsch ha voluto l’accostamento di questi due autori. Ha rischiato ma ha vinto. Tra Stroppa e Kurtág si scoprono affinità elettive che probabilmente non si sono mai studiate. Il fattore gioco, la serietà non accigliata del fattore gioco allaccia i loro cuori, le loro menti, i loro sensi. Stroppa mostra un quid di durezza (del pensiero) solo in Innige Cavatina dove l’avvicendarsi dei trilli è più drammatico che altrove.

CHE COSA scrivere di Bertsch. Onorare la sua tecnica superlativa vuol dire qualcosa ma non abbastanza. La sua grandezza sta nell’attenzione. Proprio l’attenzione amorosa che rende ineguagliabile il piacere dei congiungimenti erotici. Interprete favoloso. E la sua attenzione amorosa ben si sposa con lo strumento pensato da Stroppa che è il pianoforte d’amore. In pratica si premono alcuni tasti, si tengono in tensione col pedale di mezzo le corde relative e poi quello che si suona sopra quel «dispositivo» produce risonanze inattese.