«Di Ilaria ci hanno ridato i resti dei vestiti che indossava quel pomeriggio. Sono strappati. La valigia con i suoi indumenti, perché lei viveva lì; con il tablet appena acquistato, con i gioielli, con i libri di gastronomia che adorava portarsi dietro, sono ancora seppelliti sotto i resti dell’albergo. Speriamo di riaverli presto, vogliamo riaverli. Speriamo che non siano stati rubati dagli sciacalli che pure si sono inoltrati tra le macerie. Ci hanno detto che ci sarebbe stata la bonifica del posto, con il recupero degli effetti personali, che sono stati stanziati 850mila euro per questo, ma finora nulla. Ah, poi ci hanno riconsegnato il telefonino, smemorizzato, da cui è stato cancellato tutto… foto, messaggi, ci chiediamo perché. Questo è successo anche con i cellulari delle altre vittime».

ILARIA DI BIASE aveva 22 anni, era di Archi, piccolo centro in provincia di Chieti, e lavorava come cuoca e pure come pasticciera all’Hotel Rigopiano a Farindola (Pescara), dove c’era il ristorante «Il Vate». Lei è una delle 29 vittime della tragedia di Rigopiano, località turistica montana che il 18 gennaio dell’anno scorso è stata devastata da una valanga che ha distrutto e trascinato via l’albergo a quattro stelle del luogo. Sul complesso, stando alle valutazioni effettuate, si è abbattuta una slavina che si è staccata dal Monte Siella, tra i 1.890 e i 1.760 metri d’altitudine, che ha interessato un’area di circa 38.509 metri quadrati cui corrispondono un volume di neve pari a 77.019 metri cubi e una massa di circa 19.255 tonnellate.

«MIA FIGLIA era la dipendente più giovane – spiega il padre Filippo, ex carabiniere, ora metalmeccanico – Aveva studiato al liceo, ma ancor prima del diploma si era appassionata ai fornelli. Aveva frequentato un master tenuto dallo chef pluristellato Niko Romito, a Castel di Sangro (L’Aquila) ed era stata mandata per uno stage – era il 2014 – al Rigopiano, dove è stata subito assunta. Lei era innamorata di quel posto: per qualche mese aveva provato a lavorare altrove, ma non era contenta». Così è tornata definitivamente al Rigopiano. «Il suo sogno – sussurra la mamma, Mariangela Di Giorgio, mentre sistema su un mobiletto un cero e alcune foto della figlia, che sono disseminate ovunque in casa – era di aprire una pasticceria». «Era un progetto su cui stavamo fantasticando – riprende il marito – “Tra qualche anno…”, ci siamo promessi. Invece… è finito tutto».

ERANO ALL’INCIRCA le 16.40 di un anno fa, quando una caterva di neve e ghiaccio e tronchi ha sconquassato il resort. «Ci eravamo sentiti poche ore prima – aggiunge il papà di Ilaria -, perché c’erano state alcune scosse di terremoto. Eravamo tranquilli, perché l’hotel aveva, al suo interno, un bunker antisismico. Se avessimo saputo, se per un istante avessimo avuto il sentore del pericolo che incombeva su quell’edificio, mai avremmo permesso a nostra figlia di restarci. Lei, tra l’altro, quel giorno era di riposo, ma, come altri, è rimasta bloccata lassù perché la strada era impraticabile, chiusa, sommersa da un barriera di neve: ma questo non ce l’aveva detto, l’abbiamo scoperto dopo». Della catastrofe hanno appreso dalla televisione, guardando Chi l’ha visto? «Nonostante le condizioni meteo impossibili avremmo voluto raggiungere subito, quella stessa notte, Penne (Pescara), dove si sono concentrate famiglie dei dispersi. Ma non avevamo un’automobile a disposizione, né il Comune, a cui abbiamo chiesto, in quel momento di dramma e di emergenza, di farci accompagnare dalla locale protezione civile, ci ha aiutato. Siamo andati il giorno dopo, con Antonio, il fidanzato di Ilaria».

ATTESA E STRAZIO, con i soccorsi complessi e convulsi. «Abbiamo sperato – evidenzia Filippo Di Biase – quando i vigili del fuoco hanno tirato fuori vivi i bambini. Poi, col passare delle ore, dei giorni, ho capito… Ho cominciato a pensare al funerale. Arrivavano i bollettini con la descrizione delle vittime… “Maschio, di età compresa tra… Femmina, all’incirca di anni…”. Era un martirio, dovevi augurarti che non era toccato a te, ma ad altri. Vedevi le famiglie ripartire, con il loro lutto. Disumano. Poi è toccato a noi… Mi chiedo: come è stato possibile far costruire, in maniera scellerata, quella struttura ai piedi di un canalone? E sui detriti di valanghe precedenti? Perché hanno autorizzato?». «Mia nipote – aggiunge Pina Di Giorgio, zia di Ilaria – è stata uccisa dall’irresponsabilità e dall’ingordigia umane. Speriamo che venga fatta giustizia. Tiriamo avanti solo perché bisogna farlo, perché c’è mio nipote Yuri, ci facciamo forza per lui, però… Devono pagare, devono assolutamente pagare». «Andiamo ogni mese a Rigopiano – chiude il papà -. Portiamo un fiore. È lì che l’abbiamo lasciata, è lì che crediamo di ritrovarla».