«Voglio innanzitutto chiedere scusa, come uomo delle istituzioni, per le disgustose ed assurde vicende che voi, familiari delle vittime di Rigopiano, siete da tempo costretti a vivere, in preda ad un comprensibile e crescente sgomento. In attesa da quasi tre anni di giustizia, ma soprattutto di verità, state invece assistendo a quella che, ai vostri occhi e di quelli di tutta la comunità, appare come una lotta invereconda».

Le scuse sono di Pierfrancesco Muriana, ex capo della Squadra Mobile di Pescara, in una lettera inviata, il 12 dicembre scorso, al Comitato familiari «Vittime di Rigopiano». «Una lotta – prosegue – tra pezzi dello Stato che, anziché profondere le loro energie nella ricerca dei veri motivi per i quali, anche in occasione del prossimo Natale, non vi sarà consentito di abbracciare i vostri cari come un tempo usavate, sembrano impegnati a infangarsi a vicenda e a rimpallarsi responsabilità, se non addirittura a nascondere parti di verità».

Una missiva che squarcia valanghe di veleni, infarcite, negli ultimi tempi, di segnalazioni in Procura ed esposti, con forze dell’ordine contro forze dell’ordine, in una vicenda che, dopo slavina e lutti, ha generato sospetti, depistaggi, sparizioni di documenti e di timbri. Una missiva che riapre ferite, perché nel frattempo ci sono le famiglie delle 29 vittime che aspettano giustizia e che assistono, allibiti, a un colpo di scena dietro l’altro. Muriana, con una propria denuncia, ha dato di recente vita al quarto filone d’inchiesta, con l’iscrizione, sul registro degli indiziati, di quattro carabinieri.

Tra loro c’è il tenente colonnello Massimiliano Di Pietro, ex comandante del nucleo investigativo, oggi in servizio alla Legione Marche, il cui nome si aggiunge a quelli dei tre colleghi forestali già ascoltati dai pm che ipotizzano il falso materiale e ideologico a proposito delle telefonate, con le disperate richieste di aiuto, fatte, nel giorno del disastro, cioè il 18 gennaio 2017, dal cameriere dell’albergo Gabriele D’Angelo, rimasto ucciso sotto l’albergo. «Da quasi trent’anni – scrive Muriana – mi onoro di servire la collettività nei ranghi della beneamata Polizia di Stato, sulle orme dei principi inculcatimi fin da bambino da mio padre, già Maresciallo Maggiore dell’altrettanto benemerita Arma dei Carabinieri.

Sono vincolato al segreto di indagine e, pertanto, impossibilitato in questa fase a rivelare il contenuto della segnalazione di reato, da me recentemente inoltrata alla Procura di Pescara, che in questi giorni è oggetto di una infamante campagna denigratoria. Sento il dovere di comunicarvi, tuttavia, che essa è stata il frutto di un preliminare incontro con il procuratore capo di Pescara, Massimiliano Serpi dal quale ho ricevuto poi precise indicazioni sul da farsi».

Evidenzia, ancora: «Desidero aggiungere che in quello scritto non ho relazionato ‘contro’, non essendo io lo strumento di nessuno, ma solo ‘a favore’. A favore della verità che sembra tardare ad arrivare, ma che dovrà obbligatoriamente essere tributata alla memoria dei vostri ventinove cari che, solo così, potranno finalmente riposare in pace».

Del «Comitato Vittime» non fa parte Alessio Feniello e Muriana chiede che le scuse vengano estese anche a lui «che oggi mi addita come persona animata da loschi intenti e in combutta con non meglio precisati personaggi. La sua è la comprensibile rabbia di un padre che ha perso un figlio in circostanze tragiche, al quale qualcuno sta probabilmente propalando una narrazione distorta dei fatti. Se ciò sta avvenendo per un cinico calcolo, quel qualcuno sarà chiamato a risponderne davanti alla giustizia di Dio e a quella degli uomini», conclude Muriana. Ma papà Feniello risponde a breve giro di posta e sottolinea che «si parla di scuse e in molti siti vedo titoli che parlano delle scuse di Muriana ai parenti delle vittime. Io non vedo scuse, ma chiacchiere. Mi sembra una persona che dopo quasi tre anni ha capito che forse le cose si mettono male anche per lui e allora cerca di nascondersi mettendosi dalla parte delle vittime. Io non ci casco, caro Sig. Muriana, io non le credo».