Ci sono 23 indagati per il disastro dell’Hotel Rigopiano. Il fascicolo, di migliaia di pagine, raccontano di inefficienze e inadempienze. I capi d’accusa principali sono omicidio colposo plurimo e lesioni colpose. Il procuratore della Repubblica di Pescara, Massimiliano Serpi, insieme al pm Andrea Papalia, si era posto l’obiettivo di concludere l’inchiesta entro un anno dalla tragedia, ma non ce l’ha fatta. Gli inquisiti sono stati comunque tutti ascoltati prima di Natale. Quattro i filoni su cui la magistratura sta cercando di far luce.

IL PRIMO è sui ritardi nell’attivazione della macchina dei soccorsi e tira in ballo l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo; il dirigente dell’area Protezione civile, Ida de Cesaris, e il capo di gabinetto, Leonardo Bianco. Secondo l’accusa, soltanto a partire dalle ore 10 del 18 gennaio venne effettivamente attivato il Centro coordinamento soccorsi, nonostante i pericoli e le intemperie, nonostante mezzo Abruzzo fosse sotto una bufera mai vista. Versione contestata dalla difesa. C’è poi la gestione dell’emergenza. Per questo sono indiziati Antonio Di Marco, presidente della Provincia di Pescara; Paolo D’Incecco, ex dirigente del settore Viabilità e referente di Protezione civile; Mauro Di Blasio, responsabile degli stessi servizi; Giulio Honorati, comandante della Polizia provinciale di Pescara; Tino Chiappino, tecnico reperibile secondo il Piano di reperibilità provinciale.

LE CONTESTAZIONI riguardano la mancata attivazione della sala operativa di Protezione civile, la non effettuazione della ricognizione dei mezzi spazzaneve e la mancata chiusura al traffico del tratto di provinciale che conduce a Rigopiano, dove, fino alla sera prima sono stati condotti e scortati villeggianti. «Hanno pulito la strada, aprendoci la via per la morte e per non tornare più a casa», ha denunciato infatti Giampaolo Matrone, l’ultimo sopravvissuto, di Monterotondo (Roma), estratto da sotto i detriti dopo 62 ore, che ha subito 5 interventi al braccio e alla gamba. Sua moglie, Valentina Cicioni, invece non ce l’ha fatta. Anche il cuoco Giampiero Parete, il primo a lanciare l’allarme dopo la catastrofe e la cui famiglia si è salvata, dice che prima della partenza per il resort, il 17 gennaio, sono state taciute le reali condizioni meteorologiche esistenti e «anzi ci venne consigliato di partire per Rigopiano poiché lo spazzaneve avrebbe provveduto, nel primo pomeriggio, a liberare la strada». I Parete, al bivio Farindola-Rigopiano, trovarono 5-6 macchine che salivano dietro lo spazzaneve. «Il percorso non era affatto agevole – si legge nella denuncia presentata – e si aggiunga che lungo il tragitto, una vettura della polizia provinciale era ivi posizionata per garantire il transito regolare verso l’albergo, scortando gli ospiti sino a destinazione, addirittura aiutando a mettere le catene. Anche il sindaco di Farindola “scortava” sino all’hotel…».

IL TERZO FILONE riguarda la realizzazione del resort e vede coinvolti il primo cittadino di Farindola, Ilario Lacchetta, gli ex sindaci Massimiliano Giancaterino e Antonio De Vico, e i tecnici Luciano Sbaraglia ed Enrico Colangeli, in relazione alla mancata adozione del Piano regolatore generale del Comune che, se fosse stato approvato – è la tesi dell’accusa – avrebbe impedito l’edificazione del nuovo Rigopiano e quindi il verificarsi del dramma. In riferimento ai permessi rilasciati nel 2006, per la ristrutturazione del complesso alberghiero, quando la zona era già sottoposta a vincolo idrogeologico, sono invece indagati Marco Paolo Del Rosso, l’ imprenditore che chiese l’autorizzazione; Antonio Sorgi, dirigente della Regione Abruzzo e il tecnico comunale Enrico Colangeli.

I TRE, è la contestazione diedero l’ok alla realizzazione del resort, con annesso centro benessere, eludendo il pericolo di valanghe e tenendo aperta la struttura anche in pieno inverno, prescindendo dall’intensità delle nevicate. L’ultimo filone riguarda la mancata realizzazione della Carta regionale per il pericolo delle valanghe e vede sott’inchiesta i dirigenti della Regione Abruzzo Pierluigi Caputi, Carlo Giovani, Vittorio Di Biase, Emidio Primavera e Sabatino Belmaggio. Stando alla relazione dei periti della Procura per salvare quelle vite a Rigopiano sarebbe stato necessario evacuare il complesso due giorni prima.