«Dicono che il Messico sia un paese corrotto. Che la corruzione faccia parte della sua cultura. Ma non è vero. Sono colossali bugie. Nel nostro popolo, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità vi è una gran riserva di valori morali, culturali, spirituali». In uno degli ultimi meeting elettorali, l’eterno candidato della sinistra messicana Andrés Manuel López Obrador ribadisce il messaggio che ha lanciato dall’inizio della sua campagna per le elezioni del 1° luglio. Un messaggio semplice, ma efficace: «Il problema non è il popolo, sta in alto». In quella che definisce «la mafia del potere».

EFFICACE, perché ormai da anni – di sicuro durante i sei anni del mandato dell’attuale presidente Peña Nieto – «nulla di quanto dice il governo è degno di credibilità per la gente. E tutta la classe politica e sindacale si trova nella stessa situazione: tutti sono visti con disprezzo – sostiene lo storico Alejandro Rosas -. Le reti sociali poi hanno da tempo dichiarato guerra al governo e non risparmiano insulti a nessuno, presidente, governatori, parlamentari. Insomma – conlcude Rosas -, il paese attraversa una grave crisi politica».

«Un detto popolare messicano recita che la terza volta è quella buona. Amlo – come López Obrador viene chiamato dalle iniziali del suo nome – vincerà»,sostiene Alejando, operaio in un hotel nel centro di Cancún. Dopo aver perso le presidenziali per un pugno di voti – e una gigantesca frode – nel 2006 e dopo una nuova sconfitta nel 2012 – sempre in salsa messicana, ovvero con urne controllate dal potere -, stavolta Amlo è dato per sicuro vincitore. Il candidato presidente di Morena (Movimento di rigenerazione nazionale) è in testa in tutti i sondaggi. Amlo ha il doppio delle preferenze del candidato della destra (Partito di azione nazionale, Pan) Ricardo Anaya (50% contro 27) e surclassa l’uomo del partito di governo (Pri) José Antonio Meade (20%).

PER CAMERA E SENATO, Morena si presenta in alleanza ( «Juntos Haremos Historia») con la destra democristiana Encuentro Social (Pes) e il Partito del trabajo (Pt) raccogliendo il 46% delle intenzioni di voto, sufficiente per il controllo del Congresso dato il sistema elettorale maggioritario.

LE PRESIDENZIALI IN MESSICO non prevedono un secondo turno. Dunque, se queste previsioni si avvereranno, López Obrador avrà in pratica tutte le leve del potere. Le elezioni di domenica sembrano infatti destinate a cambiare il volto del Messico. Assieme al presidente della Repubblica, sono in ballo sia il rinnovo della Camera e del Senato, sia una serie di cariche pubbliche di rilievo, compresi i 32 governatori dei vari Stati: in tutto più di 3000 alti funzionari. Un bel risultato per il 64enne politico e scrittore che da più di un ventennio è all’opposizione, adorato da folle di umili ma ferocemente avversato dai poteri forti, agglutinati attorno ai due partiti storici, Pri e Pan.

 

 

MA COSA È CAMBIATO rispetto alle due precedenti elezioni per giustificare un tale vantaggio politico da parte di Amlo su tutti i suoi avversari? L’ostilità che López Obrador ostenta verso le politiche neoliberiste, il suo atteggiamento quasi compulsivo contro la corruzione e una forte determinazione a cambiare la storia a favore dei poveri sono le stesse di dodici anni fa. E anche quando lo sento promettere tagli nelle spese del governo – inclusa la riduzione dello stipendio del presidente e la vendita della sua flotta aerea – per aumentare le pensioni, aiutare economicamente gli studenti e gli apprendisti, per dare fertilizzanti gratis ai piccoli contadini, mi ricordo di silmili argomenti nelle passate campagne. «È vero che con i capelli argentati e i sorrisi Amlo si presenta più rilassato e credibile e soprattutto meno aggressivo e intollerante nei confronti dei suoi avversari – sostiene l’analista Guillermo Fabelas Quiñones -, come ha dimostrato anche nella riunione con gli industriali, suoi nemici di sempre. Ma ovviamente la causa del suo succeso è ben più profonda: continui aumenti dei prezzi – l’inflazione ufficialmente è al 6,8% -, violenza e crimini brutali – gli ultimi mesi hanno registrato un tasso record di omicidi: 4 all’ora -, impressionanti scandali per corruzione. In questo devastante panorama il suo messaggio risuona più forte e dà speranza».

«SIAMO STANCHI della stessa gente al potere da anni, stanchi di essere costretti a lasciare le nostre famiglie per andare a trovare lavoro lontano, negli Usa o, come nel mio caso a Cancún, zona turistica dove circola molto denaro, come dimostra anche la lotta di alcuni cartelli della droga per controllare lo Stato del Quintana Roo», sostiene Alejandro, originario di Città del Messico.

Entrambi insomma, l’operaio e l’analista, concordano con la tesi dello storico Rosas: a portare verso il successo López Obrador sono le piaghe del Messico – diseguaglianza galoppante, violenza dei narcos e insicurezza pubblica, corruzione generalizzata- che testimoniano il fallimento della classe politica – specie il Pri – e del sistema presidenzial-partitista che da un secolo governano il paese. E infatti Amlo non smette di tuonare contro entrambi i partiti storici ma anche lancia la proposta – e questa è in effetti una novità rispetto al passato – di una riconciliazione nazionale basata su un’amnistia che coinvolga anche alcuni criminali e ha invitato papa Francesco a garantire questo processo di pacificazione. La Conferenza episcopale del Messico – più di cento tra vescovi e arcivescovi – appoggia la proposta, come pure il fatto che Amlo ponga al centro i problemi della lotta all’insicurezza, alla povertà e la riconciliazione.

INFINE, UNA MANO – anche se non desiderata – Amlo l’ha ricevuta dal presidente Donald Trump: la sua brutale politica contro l’immigrazione ha convinto molti che una personalità più forte e nazionalista dell’attuale presidente possa difendere il Messico dalle minacce del vicino del nord.