Nuove barriere crescono, poco per volta l’Europa si barrica non solo più alle frontiere esterne, ma persino al suo interno, nello spazio Schengen. L’Austria ha precisato ieri le “misure strutturali” evocate la vigilia dalla ministra degli Interni, Johanna Mikl-Leitner: dovrebbe venire costruita una doppia barriera alla frontiera con la Slovenia, paese dell’Unione. “Si tratta di assicurare un ingresso ordinato e controllato nel nostro paese – ha affermato Mikl-Leitner – non di chiudere la frontiera”, per “adottare tutte le precauzioni” di fronte a dei migranti considerati “più impazienti, aggressivi e emotivi” negli ultimi tempi. La scorsa settimana, Mikl-Leitner aveva evocato la necessità di un’ “Europa fortezza”. Il primo ministro, il social-democratico Werner Faymann, ha precisato che non ci saranno fili spinati, come in Ungheria, ma che la barriera si limiterà ad essere una “porta con parti laterali” chiuse. “Non crediamo che il problema attuale dei rifugiati, che riguarda tutta l’Europa, possa venir risolto con la costruzione di barriere e di muri”, ha reagito il portavoce di Angela Merkel. Ma di fronte alla scelta austriaca, anche la Slovenia si prepara ad alzare barriere al confine con la Croazia. Il paese è in affanno, dal 17 ottobre circa 90mila rifugiati hanno transitato per la nuova rotta dei Balcani, che passa per la Slovenia (dopo la chiusura dell’Ungheria). “Se gli accordi di domenica”, al mini-vertice di Bruxelles con i Balcani, “non verranno rispettati, la Slovenia sarà costretta a adottare nuove misure per fermare il flusso di migranti”, ha affermato il primo ministro sloveno Miro Cerar. E ha aggiunto: “se necessario siamo pronti a costruire una barriera anche subito”. In Germania, l’accoglienza si raffredda. Il ministro degli Interni, Thomas de Maizière, ieri ha accusato l’Austria di mandare migranti verso il confine tedesco “nelle ore notturne”, in modo che entrino in Germania senza essere notati. In Germania, le scelte di Angela Merkel sono sempre più criticate e nel suo partito crescono ambizioni che fanno leva su un’inversione di tendenza dell’accoglienza (anche il ministro delle finanze, Wolfgang Schäuble, che nel passato è stato agli Interni, sembra stia scaldando i motori).

La lunga marcia verso l’Europa-fortezza era iniziata in Spagna nel ‘93, nelle enclave nordafricane di Ceuta e Melilla, oggi ormai protette da un triplice muro di metallo. Ha fatto seguito la Grecia nel 2012, con la prima barriera al confine turco. Poi l’anno scorso la Bulgaria ha alzato uno sbarramento di 160 km, in parte finanziato dalla Ue. L’Ungheria fa figura di “modello” con i due muri innalzati, prima al confine con la Serbia poi con la Croazia. Con una scelta contraria a questo processo di chiusura, ieri l’Europarlamento ha votato a favore di 1,16 miliardi di euro aggiuntivi nel bilancio Ue 2016 a favore di misure per i rifugiati, contro la posizione del Consiglio (che rappresenta gli stati, ma sul bilancio Ue c’è la co-decisione).

Un’inchiesta dell’istituto Ifop, realizzata in sette paesi europei, rileva che i cittadini europei hanno sguardi differenti sulla crisi dei rifugiati, ma al di là delle divergenze nazionali permane comunque all’interno di ogni paese una divisione tra elettorato di destra e di sinistra. In media generale, la Francia e la Gran Bretagna, che sono tra i paesi meno toccati dalle ultime ondate di arrivi, sono i più reticenti (per 46% di francesi e britannici non è un dovere accogliere, opinione condivisa solo dal 21% dei tedeschi e dal 32% degli italiani). Francia e Germania, seguiti dall’Olanda, si oppongono in maggioranza (rispettivamente solo 46% e 44% di favorevoli) alla ripartizione dei rifugiati, proposta dalla Commissione con il programma che riguarda per il momento 160mila persone. La maggior parte dei paesi, Italia compresa, ritengono di non avere i mezzi necessari per far fronte all’arrivo dei rifugiati (mentre per il 55% dei tedeschi sono “un’opportunità” per l’economia). Francia e Gran Bretagna sono anche in testa nello scetticismo verso l’aiuto allo sviluppo per evitare gli arrivi, iniziativa considerata efficace invece dal 55% dei tedeschi, mentre danno la preferenza al rafforzamento dei controlli alle frontiere e, soprattutto in Francia (29%), all’intervento militare in Siria.