Jean-Claude Juncker ha convocato per domenica un mini-vertice Ue-Balcani a Bruxelles. Ci saranno i paesi del sud-est europeo, Bulgaria, Romania, Ungheria, Slovenia, Grecia, paesi di transito dei rifugiati, accanto a Germania e Austria, destinazioni di arrivo. Sono invitate Serbia e Macedonia, che incontreranno, oltre alla Ue e alla presidenza lussemburghese, anche rappresentanti di Frontex, dell’Easo (Ufficio europeo per l’asilo) e dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati. La Ue cerca di trovare una soluzione al caos che sta sopraffacendo i Balcani, mentre i piani europei di ricollocamento di 160mila persone sono ormai travolti dalla cifre in crescita, 643mila entrati nella Ue dopo aver attraversato il Mediterraneo dall’inizio dell’anno. In soli due giorni, dal 16 al 18 ottobre, 28mila persone sarebbero arrivate in Grecia, secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. La situazione è resa ancora più caotica dalle successive chiusure delle frontiere: il 16 ottobre l’Ungheria ha bloccato il confine con la Croazia, dopo aver già alzato un muro, un mese prima, con la Serbia, la Slovenia afferma di aver accolto 19.500 persone nello scorso fine settimana e ha fatto intervenire l’esercito (ma solo per “assistenza logistica” assicura il primo ministro Miro Cerar). Altri paesi potrebbero venire coinvolti in prima linea, come l’Albania e il Montenegro, visto che in migliaia sono bloccati in Serbia e in Macedonia.

La Francia è lontana dalle rotte della fuga dei rifugiati dalla Siria, ma la presenza di migranti è raddoppiata nelle ultime tre settimane a Calais, moltiplicata per venti in due anni. Nella “giungla” ci sono ormai 6mila rifugiati, che vivono in uno stato di emergenza, sanitaria, di violenza. Ieri, il ministro degli Interni, Bernard Cazeneuve, si è recato sul posto per la settima volta. E’ una prima risposta all’ “Appello di Calais”, pubblicato ieri mattina su Libération e firmato da più di 800 personalità del mondo della cultura e dello spettacolo. Dai fratelli Dardenne a Bertrand Tavernier, da Omar Sy a Jeanne Moreau, da Edgar Morin a Thomas Piketty, Enki Bilal, Christine Angot o Eric Cantona, hanno tutti sottoscritto un testo di accusa al governo, per chiedere “un ampio piano di emergenza per far uscire la giungla di Calais dalla mancanza di dignità nella quale si trova”. Il mondo della cultura si indigna per il “disimpegno dei poteri pubblici”, che è “una vergogna in un paese che, benché in periodo di crisi, resta la sesta potenza mondiale”. Il governo è accusato di “scaricare sulle associazioni e sulle buone volontà” la cura dei rifugiati. Cazeneuve ammette che la crisi, benché non sia nuova, “ha preso incontestabilmente una svolta particolare con l’accelerazione della crisi migratoria in Europa”. Cazeneuve fa l’equilibrista tra l’indignazione dell’Appello e l’opinione pubblica più in generale (un ultimo sondaggio rileva che il 53% dei francesi è ostile all’accoglienza), ricorda l’impegno di offrire un’accoglienza più degna, con 1500 posti e promette “maggiori mezzi”, ma solo 200 posti al centro Jules Ferry per donne e bambini particolarmente vulnerabili. Il numero dei rifugiati cresce e il programma di trasferimenti è inoperante, le persone allontanate da Calais vi ritornano, perché vogliono andare in Gran Bretagna. Londra ha dato dei soldi alla Francia per scaricare il problema, ha inviato dei poliziotti e ha costruito la griglia che dovrebbe bloccare i tentativi di passaggio clandestino nel tunnel sotto la Manica (da luglio ci sono stati già 16 morti). La sindaca di Calais, Natacha Bouchart (del partito di Sarkozy), continua a chiedere l’intervento dell’esercito per sorvegliare la “giungla, perché non sappiamo bene cosa succede li’ dentro”. Cazeneuve cede e annuncia l’invio di altri agenti di polizia, per impedire i passaggi clandestini. François Hollande oggi e domani sarà in Grecia, per cercare di rassicurare Atene sulle promesse che Angela Merkel ha fatto a Erdogan per ottenere che la Turchia freni le partenze di rifugiati e accetti di riaccogliere chi non ha ottenuto l’asilo in Europa. La Grecia vorrebbe degli hot spots sul territorio turco, ma questo sistema mostra già di non funzionare in Europa, molti migranti rifiutano questa procedura e i ricollocamenti, poiché vogliono raggiungere specifici paesi (Germania, Svezia, Gran Bretagna).