«Casa mia si è sciolta come cioccolato». Taleb indica le macerie di quella che, fino a un paio di mesi fa era la dimora della sua famiglia. Quattordici giorni di piogge torrenziali, lo scorso ottobre, gliel’hanno portata via, assieme al bestiame. «Ci siamo rifugiati sulle dune più alte, avevamo paura di annegare» racconta, allineando i mattoni di fango per farli asciugare al sole. Ora dorme in una jaima, la tradizionale tenda dei nomadi del deserto. Si calcola che su una popolazione complessiva di 160 mila rifugiati, almeno 25 mila siano coloro che si trovano nelle condizioni di Taleb.

«La wilaya maggiormente colpita è proprio quella di Dakhla – spiega il governatore Mrabih Mami Daj – qui il 90% degli edifici pubblici e la totalità di quelli privati sono crollati. Circa 4mila famiglie hanno perso tutto. Ma sono state comunque in grado di ospitare almeno altrettanti tra delegati e ospiti stranieri».

Edificate a tempo di record le strutture necessarie ad accogliere i congressisti. Più faticosa pare la ricostruzione delle abitazioni. Se ne stanno occupando alcune organizzazioni come Echo, Triangle e Oxfam. Ma per il momento le strutture recuperate sono meno del 10%. «La gente chiede cemento – osserva il governatore – o il denaro per comprarlo. Le case crollate erano di fango secco, totalmente inadatte a fronteggiare piogge come quelle di quest’autunno».

Distrutti o seriamente danneggiati anche centri sanitari, scuole e asili. I ragazzi stanno proseguendo le lezioni in tende messe a disposizione dall’Unhcr. Le Nazioni Unite hanno creato una commissione di emergenza composta da Unhcr, Unicef e Oxfam per quantificare gli sfollati e intervenire. La Cooperazione italiana ha fatto la sua parte con circa 200 mila euro per la ricostruzione.