Era l’ottobre del 2019, una vita politica fa, quando per consentire la nascita del governo giallorosso Conte 2 la maggioranza di allora mise nero su bianco l’impegno a «riequilibrare» il taglio dei parlamentari che come primo atto si accingeva ad approvare. Il taglio dei parlamentari è stato poi approvato, confermato dal referendum costituzionale e scatterà dalle prossime elezioni, nel frattempo ci sono già i primi pentiti.

Ma quell’impegno al «riequilibrio», articolato in cinque diversi obiettivi, è rimasto sulla carta. Solo ieri, a due anni e mezzo di distanza, la commissione affari costituzionali della camera ha dato un prima via libera al punto tre di quella lista: una riforma costituzionale che cambia la base elettorale del senato, non più «regionale» perché con meno parlamentari si sarebbe tradotta in una soglia di sbarramento occulta insuperabile da molti partiti, ma «circoscrizionale» per consentire un recupero nazionale dei resti.

Un primo, timido passo (siamo in prima lettura, ne sono previste quattro) e un passo compiuto anche a metà, perché da questa riforma è sparita la riduzione da tre a due dei delegati regionali per l’elezione del presidente della Repubblica. Era stata prevista per coerenza con la riduzione dei grandi elettori parlamentari – che con il taglio di senatori e deputati scenderanno da 945 a 600 – ma alla fine è stata lasciata cadere. La Lega era contraria.

La già piccola riforma costituzionale, ulteriormente ridotta, è stata approvata comunque con il voto contrario di tutto il centrodestra, a favore solo M5S, Pd, Leu e Iv. Esattamente la stessa maggioranza dell’ottobre 2019, come fa notare il relatore (e presentatore) del disegno di legge costituzionale, Federico Fornaro (Leu). «Si è spaccata la maggioranza? No, Lega e Forza Italia non avevano sottoscritto la proposta». E mentre la Lega presenta il passo indietro sui delegati regionali come una sua vittoria – «tutela la rappresentanza dei territori» – il centrodestra spiega il no alla modifica della base elettorale del senato con la preoccupazione che questo aprirebbe la strada a una legge elettorale proporzionale.

Non è così, dice Fornaro, «non favorisce nessuno e non preclude il legislatore dal varare una legge elettorale proporzionale o maggioritaria, ma permette di superare il problema delle maggioranze diverse tra camera e senato».

Ma il fantasma di una legge elettorale in grado di «garantire il pluralismo politico», cioè proporzionale, la più importante delle riforme annunciate nero su bianco nel 2019 per riequilibrare il taglio e rimasta sulla carta, condiziona ogni trattativa.

Gli ostacoli sulla via di una riforma proporzionale – dalla contrarietà di Letta e di un pezzo del Pd al richiamo della coalizione di centrodestra su Forza Italia – sono tali che ormai i partiti fanno conto che si tornerà a votare con il Rosatellum. Così il piccolo passo di ieri è assai difficile che avrà un seguito. Il disegno di legge costituzionale dovrebbe andare in aula la prossima settimana, ma vista la spaccatura in commissione un rinvio è più probabile di una prova di forza