Domani pomeriggio la camera approverà la legge di revisione costituzionale Renzi-Boschi nel testo identico a quello approvato dal senato. Non ci sono incertezze visti i numeri di cui dispone il governo a Montecitorio. Tanto è vero che gli avversari della riforma, già raccolti in un comitato del No presieduto dal costituzionalista Pace, hanno convocato un’assemblea pubblica in contemporanea con le dichiarazioni di voto della camera (alle 15.30).

In questo che è l’ultimo atto della prima lettura non è richiesta la maggioranza assoluta dei deputati, soglia che è facilmente alla portata di Pd e alleati di centro e centrodestra ma che pure non è stata mai raggiunta nelle votazioni sugli articoli negli ultimi mesi dello scorso anno. La maggioranza assoluta servirà invece necessariamente al senato, dove da mercoledì 13 (trascorsa la «pausa di riflessione» di tre mesi prevista dall’articolo 138) ogni giorno potrebbe essere quello buono per confermare l’approvazione del testo (le dichiarazioni di voto e il voto possono esaurirsi in una sola seduta) di riforma. Non c’è alcuna fretta, visto che la data di chiusura sarà comunque quella dell’11 aprile (tre mesi dopo l’ultimo sì della camera, quello di domani), eppure è comprensibile l’intenzione di Renzi di anticipare quel giorno a prima dei passaggi più delicati su Unioni civili e riforma della cittadinanza. Neanche un voto può essere perso, visto che il pieno dell’alleanza «riformatrice» – mettendoci dentro dal Pd agli ex leghisti di Fare!, dai verdiniani agli ex grillini – arriva a 179 voti, appena 18 consensi oltre il margine minimo di 161. Lontanissima la maggioranza dei due terzi, raggiunta la quale la revisione costituzionale sarebbe immediatamente efficace. È per questo che si potrà chiedere il referendum, malgrado Renzi la presenti come una sua decisione.

E non sarà il governo a poter chiedere il referendum, ma in sua vece – rovesciando il senso dell’articolo 138 – è assai probabile che lo chiederanno i parlamentari renziani di maggioranza. Potranno farlo immediatamente, devono solo firmare la richiesta presso la segreteria della loro camera, in teoria potrebbero farlo il giorno successivo alla pubblicazione del testo(provvisoriamente) approvato in Gazzetta ufficiale. Ma, a differenza di quanto raccontano i boatos di palazzo Chigi, la Cassazione dovrà comunque aspettare eventuali altre richieste, come quella annunciata da parte del comitato del No – che chiederà il sostegno di 65 senatori o 126 deputati di opposizione – così da poter essere formalmente riconosciuto nella successiva campagna referendaria (per i rimborsi e gli spazi tv). Altrimenti bisognerebbe raccogliere 500mila firme. Passeranno così tre mesi (si arriverà a metà luglio), dopodiché trascorso il tempo (30 giorni) per le verifiche dell’ufficio centrale della Cassazione, il governo potrà convocarsi in pieno agosto per decretare l’indizione del referendum (che spetta al Quirinale) tra i 50 e i 70 giorni dopo. Al più presto ad ottobre. a. fab.