Sarà tutto più facile. La riforma del bicameralismo aveva tormentato la vigilia elettorale di Matteo Renzi, che non era riuscito a rispettare la data di scadenza che si era auto-imposto, e qualche concessione aveva dovuto pur fare rispetto alla sua proposta originale di un senato dei sindaci. Ma adesso cambia tutto, è la convinzione del presidente del Consiglio. E della ministra delle riforme, che ieri mentre la commissione affari costituzionali del senato andava avanti nelle audizioni, ascoltando l’opinione di Cnel, Anci, Confindustria, comuni e regioni, era in tutt’altre faccende affaccendata tra l’Italia e il Congo. Adesso Renzi sa che non avrà problemi nella sua corsa verso l’approvazione in prima lettura del disegno di legge costituzionale presentato dal governo, anche se i proclami di collaborazione che vengono dalla (ex?) minoranza interna al Pd non giungono nuovi, mai da quella parte erano arrivati seri ostacoli.

La buona notizia per Renzi è che Berlusconi non intende rinunciare a quel po’ di spazio politico che gli resta, e dunque non denuncerà il famoso «patto del Nazareno» sulle riforme. Perché «quelle che vuole fare Renzi sono le nostre», ha detto ieri ai suoi. E con i voti di Forza Italia in commissione sarà facile far cadere velocemente tutti gli emendamenti che si annunciano contrari al testo del governo.

Solo i grillini ne presenteranno un centinaio. Il Nuovo centrodestra non rinuncerà ai suoi. Il termine scade questo pomeriggio, e sono in arrivo emendamenti anche dall’area Civati. Li presenterà il senatore Mineo, che ieri ha spiegato di non voler lasciare «alla merce» della Camera «eletta con legge elettorale maggioritaria» (l’Italicum, eventuale) l’elezione del presidente della Repubblica, le leggi costituzionali, quelle che riguardino i diritti fondamentali o i trattati internazionali. Ma il nodo fondamentale, prima della pausa elettorale, era il criterio di formazione del nuovo senato. Il senatore Chiti aveva presentato una proposta che prevedeva l’elezione diretta dei senatori, la proposta è stata ormai supera dall’adozione del disegno di legge del governo come testo base. Ma la questione può tornare negli emendamenti, magari preludendo a una soluzione di compromesso che porti a palazzo Madama una quota di rappresentanti delle giunte regionali di diritto, ma conservando una forma di elezione della maggioranza dei senatori. Elezione diretta, è la richiesta della minoranza «civatiana» del Pd (ma anche di Sel, e dei 5 stelle). Elezione «alla francese» è la controproposta che si avvia a fare la relatrice Finocchiaro, prendendo a modello l’assemblea dei grandi elettori di Parigi. Che però in Francia sono molti di più (150mila e non 8mila), e soprattutto Oltralpe si è deciso di chiudere con i sindaci in parlamento.