L’espressione da tenere a mente da qui ai prossimi dieci anni, parlando di Cina è la seguente: xin changtai, ovvero «nuova normalità».

Si tratta del tormentone lanciato dal Partito comunista e significa affrontare il futuro sapendo che non si crescerà più a ritmi considerati eccessivi, ma si punterà di più sulla qualità della crescita. Passare da un’economia basata su investimenti e esportazione ad una trainata da innovazione e mercato interno, costituisce la nuova sfida.

Annunciata da tempo, questa «rivoluzione» ora deve essere messa in atto, non solo partecipando a progetti avveniristici in giro per il mondo, ma anche in casa propria.

La «nuova normalità» verrà lanciata e sancita dal Plenum del Comitato Centrale (circa 200 membri) per delineare il 13° piano quinquennale (2016-2020) e per lo sviluppo nazionale, «partendo dai risultati straordinari nel periodo del 12° piano (2011-2015)», come ha scritto il China Daily. Solitamente i Plenum si svolgono praticamente a porte chiuse in un blindatissimo albergo di Pechino. Gli esiti delle discussioni si sapranno solo giovedì 29 ottobre, il giorno conclusivo, mentre il piano quinquennale verrà reso noto davvero a marzo quando si riunisce l’Assemblea nazionale, il «parlamento» cinese.

Per quanto negli anni scorsi sia stato sottovalutato, il Plenum nella sua storia ha spesso riservato grandi sorprese e alcune storiche epurazioni, come ad esempio quella di Peng Dehuai, con aumento del potere di Mao.

Si tratta di un evento fondamentale per la vita politica del paese, perché delinea le strategie future e mette in piedi le nomine per la futura leadership (per le quali c’è grande attesa, perché si conosceranno gli astri nascenti della politica nazionale).

Quest’anno poi ci sono alcuni punti che sarà interessante scoprire: in primo luogo la presa che il leader, Xi Jinping, ha sul Partito. Sulla base del piano quinquennale e delle decisioni in termini di riforme economiche, si comprenderà se la sua opera di pulizia all’interno del Partito ha consentito di ottenere il passaggio totale della sua linea, che porterà inesorabilmente ad una diminuzione del peso delle aziende di Stato.

Al riguardo in questi giorni uno straordinario leak apparso sul Financial Times, permetteva di capire molto circa le dinamiche della campagna anticorruzione e il suo preciso obiettivo: i dirigenti statali che impunemente conquistano potere e soldi a fronte di investimenti improduttivi e dannosi.

Economia, dunque, tenendo conto che Xi è stato spesso accusato di dare troppa importanza alla disciplina del Partito (come ha dimostrato il nuovo regolamento per i funzionari che vieta di praticare golf e ammonisce i dirigenti dall’avere una vita sentimentale particolarmente vivace) anziché dedicarsi alle questioni relative allo sviluppo economico.

Trattandosi di meccanismi misteriosi sui quali è difficile essere smentiti, in mancanza di informazioni più precise, c’è anche chi ha speculato sostenendo che gli ultimi capitomboli della Borsa non siano dovuti solo e soltanto a questioni basate sulla fiducia del mercato, ma siano «eterodiretti» da qualche nemico interno di Xi.

E la battaglia del presidente e segretario del Partito c’è da credere che continuerà, se è vero che Xi intenderebbe anche rafforzare il suo controllo sui militari se riuscirà nella promozione del generale Liu Yuan, un amico personale nonché figlio dell’ex presidente cinese Liu Shaoqi, alla Commissione Militare Centrale, un vero e proprio viatico al controllo totale delle forze armate, sempre più strategiche e «pesanti», vista anche l’aria che tira nel Pacifico.

L’ambito economico, in ogni caso, sarà centrale. Come sottolineato dal Wall Street Journal «anche se Pechino, vuole ridurre il peso dello stato, alcuni esperti affermano che il plenum e i piani quinquennali hanno ancora il loro posto, dando alle compagnie e alle banche statali così come ai burocrati un progetto per progredire».

I piani quinquennali forniscono un quadro organizzativo utile per il programma di riforme del governo, «nonostante i piani abbiano un approccio piuttosto paternalistico», ha raccontato il professor Eswar Prasad della Cornell University, un ex capo della Cina per il Fondo monetario internazionale.

Il nuovo piano quinquennale (2016-2020) dovrà dunque mettere sulla strada giusta il grande cambiamento che la Cina punta a realizzare: passare da un’economia basata su investimenti e orientata all’export ad un’economia dell’innovazione, trainata dal mercato interno.

Non sarà facile, anzi, come dimostra uno dei grandi obiettivi del piano come il «One Belt, One Road», la novella via della Seta, uno dei progetti infrastrutturali più ambiziosi della storia. Il suo scopo infatti, è quello di collegare meglio l’economia cinese con il resto dell’Asia, dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Europa, ma la sua forma ricorda più una crescita trainata dagli investimenti old-style anziché una riforma.

Come scritto dai media nazionali, «la Cina prevede di raggiungere una crescita media del Pil del 7,8 per cento nel periodo 2011-2015, molto più elevato rispetto al tasso medio globale del 2,5 per cento».

Essa – prosegue la Xinhua – è diventata la seconda economia stimata per più di 10 mila miliardi di dollari e «contribuisce a più di un quarto della crescita economica globale».