Avanti tutta sulla riforma costituzionale, marcia indietro rispetto al ruolo interventista del presidente della Repubblica. Sergio Mattarella si trova bene nei panni dell’«arbitro» che si è cucito addosso nel giorno del suo insediamento davanti alle camere, e ieri alla sua prima cerimonia «del ventaglio» (gli auguri estivi alla stampa) ha persino addolcito il giudizio sugli attori politici, quotidianamente raccontati come soldati in guerra. «La partita – ha detto – è ancora in corso, ma nel complesso non ho motivo di lamentarmi dei giocatori».
Al palazzo del Quirinale viene chiesto a Mattarella se non ci sia il rischio di «un uomo solo al comando». L’allusione evidente era a Renzi, la risposta è rassicurante secondo lo stile del presidente: «Nessuno è un uomo solo al comando, tanto meno il capo dello stato». E poi: «In democrazia questo non è possibile, la nostra Costituzione è un sistema accorto e felice di equilibri e influenze vicendevoli, questo equilibrio resterà nella Carta».

Un passaggio che non c’è bisogno di interpretare come un implicito appoggio al disegno di legge di revisione costituzionale che è al tornante decisivo del senato, non serve perché c’è anche il sostegno esplicito. «Mi auguro che il percorso delle riforme in itinere vada al più presto in porto dopo decenni di tentativi non riusciti. Rappresentano uno dei punti nevralgici della legislatura», dice il capo dello stato. Ed è vero che non sono parole diverse da quelle che pronunciò nel discorso di insediamento, e allora i tanti che si auguravano un Mattarella «frenatore» sulla Costituzione fecero notare come il giudizio non fosse entrato nel merito. Ma ormai le riforme hanno fatto passi in avanti e al punto in cui sono si tratta seguire la lezione di Renzi, secondo il quale non c’è altro tempo da perdere, o quella delle minoranze interne ed esterne al Pd che vorrebbero riaprire la questione della composizione del nuovo senato. Tornando ai senatori eletti dal popolo. Mattarella dice che bisogna andare in porto al più presto.

Aggiunge ancora che non può entrare nel merito della riforma. Ma questa volta fa di più, rivendica e difende il suo ruolo di presidente garante, arbitro fuori dal gioco. «Ogni tanto – dice – affiora la tendenza a penetrare nelle competenze altrui, ad appropriarsi di funzioni che spettano ad altri. Il discorso vale anche per me, il presidente della Repubblica non può intercettare o bloccare le scelte del parlamento. Non ha il potere di veto sulle leggi. Di fronte a scelte che la Costituzione attribuisce ad altri organi ho il dovere di rispettarle e accantonare le mie idee». Una trasparente risposta ai tanti che gli hanno chiesto di non firmare la nuova legge elettorale o che si aspettano un intervento pubblico sulla riforma costituzionale. «C’è una tendenza a confondere il giudizio di merito con il giudizio di costituzionalità», aggiunge il capo dello stato. E intende ricordare: solo in caso di una incostituzionalità chiara e palese potrei chiedere al parlamento una nuova deliberazione. E una volta soltanto.

Quali siano le sue idee che ha deciso di «accantonare» naturalmente il presidente non lo dice. E a questo punto può apparire secondario. Magari il capo dello stato è disponibile a riconoscere qualche buona ragione ai critici della riforma, ma «le regole della Costituzione», quelle cioè che gli impongono di non intromettersi nel lavoro del parlamento, «non possono essere violate neppure per intenzioni che si ritengono buone».