Stamattina alle 9.30, con rigoroso rispetto dei termini, la riforma della Costituzione approderà nell’aula del Senato. Però ne uscirà subito dopo, perché la presidente della commissione Affari costituzionali Anna Finocchiaro spiegherà che l’esame del testo non è ancora terminato e serve almeno una giornata in più. Ma è proprio sulla nuova agenda che l’aula del palazzo Madama si infiammerà già oggi, ancora prima di passare al vero e proprio dibattito.

Il governo, spalleggiato dalla presidenza del gruppo Pd e dalla stessa Finocchiaro, insiste perché il rinvio non vada oltre le 24 ore e la discussione inizi domattina, per poi passare ai voti a partire da martedì prossimo. Un ampio fronte trasversale che comprende due interi gruppi, quello a 5 Stelle e quello Misto-Sel, più alcune decine di dissidenti sia del Pd, che di Fi e dell’Ncd chiederanno invece che venga concesso «un tempo congruo» per esaminare la versione definitiva del testo base e mettere a punto gli emendamenti. In soldoni proporranno un rinvio dell’arrivo della riforma in aula alla settimana prossima.

La richiesta è già stata esposta più volte a voce al presidente Grasso: prima dalla presidente del gruppo Misto-Sel, De Petris, poi dalla delegazione pentastellata. E’ stata messa in campo in diverse occasioni dal fronte trasversale dei dissidenti e ieri è stata anche formalizzata con una lettera inviata a Grasso alla quale dovrebbero aggiungersi quelle, firmate a titolo personale, di una ventina almeno di senatori di Fi. Difficilmente ce la faranno, anche se lo scontro sarà duro. Ma la parola d’ordine del governo e dei vertici del gruppo Pd, supportati anche dall’improvvida e del tutto inusuale sortita di Napolitano, resta l’accelerazione a tavoletta. Ieri la commissione ha proseguito come se nulla fosse, nonostante l’assenza del co-relatore Calderoli, in ospedale a Milano per fratture multiple a una mano, e ha approvato in un batter d’occhio la revisione del Titolo V. Quando in conferenza dei capigruppo qualcuno si è permesso di ricordare che ai tempi della riforma costituzionale Berlusconi, nel 2004, la discussione durò due mesi e a strepitare perché i tempi non fossero concitati erano stati proprio quegli stessi vertici del gruppo Pd al Senato che oggi forzano la mano oltre il concepibile, la ministra Boschi, ineffabile, ha risposto che «in altre occasioni il tempo per gli emendamenti non è andato oltre la fase di discussione generale». Poche ore per riscrivere la Costituzione. Entro le 13 di oggi, infine, dovranno essere depositati i sub-emendamenti agli ultimi, ma decisivi, emendamenti dei relatori, che dovrebbero ridisegnare il capitolo dolente della rappresentanza proporzionale delle varie regioni nel Senato futuro.

Ma al di là dell’esito dello scontro di fatto già fissato per questa mattina, l’insistenza dei dissidenti dei due fronti è un segnale pericoloso perché significa che, a tutt’oggi, le pressioni ormai fortissime dei vertici del Pd e di Fi non sono riuscite a ricondurre all’ovile le pecorelle smarrite. Ieri non è stato il solo Berlusconi a martellare i reprobi. Al gran capo si sono aggiunti Verdini il ruvido e Gianni Letta il mellifluo, tanto per toccare proprio tutti i tasti possibili. E’ probabile che la massiccia offensiva qualche risultato lo porti. Ieri sera a tener duro erano ancora una ventina di senatori azzurri: quanto saranno in grado di resistere lo si capirà nel secondo tempo dell’assembleona dei gruppi congiunti con Berlusconi. Sarebbe fissato per oggi pomeriggio, ma slitterà perché, come anticipa il capogruppo Paolo Romani, si deve svolgere dopo che la commissione avrà concluso il suo compito. Niente da fare, per ora, neppure nel Pd. «Io il senato non elettivo non lo voto di certo», garantisce Felice Casson. E a Renzi, che si dice certo di 200 voti a favore della sua riforma, risponde: «Si sparano numeri per serrare le fila. E’ tutto da vedere».