Per la regola dell’alternanza, quest’anno l’esame della legge di stabilità che il governo deve presentare entro metà ottobre alle camere (ma l’anno scorso riuscì a ritardare di qualche giorno il solenne appuntamento) inizierà al senato. Una sfortunata coincidenza per Matteo Renzi, non tanto per il ridotto margine di sicurezza nelle votazioni – che com’è noto a palazzo Madama è assai inferiore rispetto a Montecitorio – perché sulla manovra il governo è abituato a mettere la fiducia e procederà in questo modo anche stavolta, dunque sulla manovra non ci saranno sorprese. La sfortuna del governo sta nell’incrocio con la riforma costituzionale, la cui approvazione è assai più problematica dovendosi escludere l’ipotesi della fiducia sul disegno di legge governativo che riscrive un terzo della carta fondamentale. Il delicato passaggio della riforma in senato, allora, dovrà concludersi entro la metà di ottobre, per dare poi spazio alla sessione di bilancio – che tra una camera e l’altra impegna il parlamento fino alla fine dell’anno. La vera scadenza per la revisione costituzionale è quella: il senato dovrà approvarla entro il 15 ottobre. E non «entro la fine di settembre» come avvertiva ufficiosamente ieri Renzi dalle pagine di Repubblica, evidentemente per tenersi un margine di sicurezza.

Del resto era stato lo stesso premier (a luglio) a indicare metà ottobre in una delle sue newsletter. Forzare ulteriormente non avrebbe senso, visto che la legge sarà certamente cambiata dai senatori e dovrà tornare alla camera (prevedibilmente nel mese di novembre) per completare la prima lettura. Il «cronoprogramma» per puntare al referendum entro l’estate del 2016 è già saltato, al massimo il governo può ipotizzare di tenerlo entro la fine del prossimo anno. Ma sono discorsi ancora molto vaghi, perché prima, tra febbraio e marzo, dopo la «pausa di riflessione», senato e camera dovranno confermare l’approvazione della riforma, così come prevede il meccanismo dell’articolo 138 della Costituzione, e dovranno farlo obbligatoriamente a maggioranza assoluta. Una soglia che al senato appare preclusa al governo.
Se infatti nel prossimo passaggio la minoranza Pd, che non otterrà l’elezione diretta dei senatori, potrà declinare la sua contrarietà alla revisione costituzionale nella forma della non partecipazione al voto, salvando così ancora una volta il governo, l’anno prossimo occorrerà che l’esecutivo raccatti almeno 171 voti a favore. Per questo l’appoggio di un certo numero di senatori di Forza Italia, al di là del neonato gruppo di Verdini, resta indispensabile. Ed è fondamentale che nel prossimo passaggio questi senatori destinati a essere decisivi nel 2016 non votino contro, perché risulterebbe poi complicato smentirsi dopo tre mesi. Ieri i senatori berlusconiani giuravano opposizione eterna. Ma a voce troppo alta per non alimentare il sospetto che volessero convincere innanzitutto se stessi. red. pol.