E tutto a un tratto il governo si accorge di non avere una maggioranza in commissione affari costituzionali al senato. Scopre che il suo disegno di legge di revisione della Costituzione non piace ai senatori, che del resto erano intervenuti contro in otto, per ognuno che aveva parlato a favore. Il leghista Calderoli regala un pomeriggio di passione, anticipando la maggioranza con un suo ordine del giorno. Propone cose popolari tra i colleghi, come la riduzione anche dei deputati. Panico: l’espediente di far passare il disegno di legge del governo come testo base, smentendolo poi – anzi prima – in un altro atto parlamentare, non può più essere utilizzato. Rischierebbe di passare il testo Calderoli.

La ministra Boschi, che sarebbe anche ministra ai rapporti con il parlamento, non aveva capito. Correva, con Renzi. Adesso si accorge di non avere dietro i voti. Non quelli di Berlusconi, che del resto lo va gridando da settimane. Si sfila anche il popolare Mario Mauro, ex ministro ed ex berlusconiano, in riavvicinamento alla destra. Nel Pd c’è il dissenso riassorbito di Gotor ma anche quello confermato di Mineo. Il governo è sotto. La ministra minaccia dimissioni. Del governo. Tira in ballo Napolitano: Renzi salirebbe al Quirinale. Lei c’è stata il giorno prima. Stiamo parlando di una riforma costituzionale. Di un disegno di legge che è piovuto in parlamento da palazzo Chigi. Di un presidente del Consiglio che ha condizionato la sua carriera a quel testo. Adesso c’è la minaccia di dimissioni. E meno male che «le riforme si fanno con tutti», come diceva Renzi. Non lo dice più. Berlusconi dice che il testo del governo è «invotabile».

Ma il testo del governo deve passare e deve passare adesso. La scadenza non ha alcun senso logico, se non quello di consentire al presidente del Consiglio di cantare vittoria negli ultimi giorni di campagna elettorale. Per farlo serve però una soluzione assai bizantina. Il voto sul testo del governo viene fatto precedere dal sì a un ordine del giorno in cui si dice, in poche righe, che il testo del governo andrà cambiato. E allora perché non cambiarlo subito? Perché il governo deve sventolare la sua bandiera. La mediazione impegna la ministra e la presidente Finocchiaro tutto il pomeriggio. L’ordine del giorno Calderoli è una minaccia. È stato presentato per primo e per primo dev’essere votato. Da palazzo Chigi, ormai l’ufficio dei relatori della riforma costituzionale, si contatta l’ex ministro Mauro. I conti sono facili. Senza Forza Italia i sì sicuri per il governo sono 13 (8 del Pd, contando anche il voto della presidente, 3 del Ncd, uno delle Autonomie e uno di Scelta civica). Contrari 12 (5 Fi, 4 M5S, uno Sel, uno del gruppo misto, uno del senatore civatiano del Pd Mineo). Decidono i due voti leghisti, e quello dei due senatori Mauro. Oltre a Mario c’è Giovanni Mauro del Gal.

Quando la commissione riprende, alle 20.30, gli ordine del giorno sono tre. C’è quello di Forza Italia sul presidenzialismo, quello Calderoli riformulato e abbreviato. E quello della relatrice Finocchiaro, benedetto dal governo. Ammette i limiti del testo Renzi-Boschi e annuncia correzioni, da fare più avanti. Sulla modalità di scelta dei senatori una strizzatina d’occhio a quanti insistono per l’elezione diretta, la maggioranza. C’è un riferimento al «corpo elettorale». Ma prima di tutto si vota il testo Calderoli. E succede quello che era sempre stato prevedibile: i senatori votano come avevano annunciato. Nulla di più e nulla di meno. Mineo al’ultimo momento non partecipa al voto. Ma bastano i sì dei due Mauro per far spostare l’equilibrio. Passa l’ordine del giorno del senatore leghista. Che prevede un bel po’ di cose indigeste all’esecutivo, prima fra tutte l’elezione diretta dei senatori. Poi amplia le competenze della nuova camera alta. Un bel pasticcio per le impuntature di Boschi e le forzature di Finocchiaro. Il cui ordine del giorno diventa improcedibile, dal momento che dice alcune cose opposte a quello Calderoli. La commissione si sospende. Finocchiaro e Boschi cercano una soluzione. Che non può essere altra dal ritiro della loro precedente mediazione. Per Renzi è una clamorosa scivolata. Il passaggio forzato in commissione appare in tutta la sua strumentalità. Si vota il disegno di legge governativo come testo base. Ma poi per correggerlo bisognerà partire dalla linea di Calderoli. Che è opposta.