Vi è chi nel Pd, anziché prendere atto dei fallimenti politici e istituzionali degli ultimi 25 anni, rilancia l’idea di un’ulteriore semplificazione mediante l’adozione di un modello presidenzialista, da sempre cavallo di battaglia del centro-destra. Così Cerno al senato e Ceccanti alla camera propongono il piatto recepimento del sistema «semipresidenziale» francese che di regola ha funzionato come un sistema «ultrapresidenziale» in quanto il presidente ha potuto contare quasi sempre su una maggioranza parlamentare e quindi imporre la sua volontà a governo e parlamento.

La forma di governo parlamentare viene indicata come il virus che ha impedito il buon funzionamento delle istituzioni. In realtà essa non solo è adottata nella grande maggioranza delle democrazie occidentali, ma, con tutti i condizionamenti rappresentati da un sistema multipartitico, non ha impedito di produrre un cambiamento epocale del Paese. Per i proponenti, la crisi della democrazia – che non investe solo l’Italia – è una crisi di «governabilità» e quindi può risolversi affidando il potere esecutivo ad un uomo plebiscitato dal corpo elettorale. Al contrario, si tratta soprattutto di una crisi della rappresentanza e della partecipazione, che ha portato al distacco dalla politica e dalle istituzioni di decine di milioni di persone. Quindi non si risolve con semplificazioni, elettorali e istituzionali, che pretendono di blindare governi che spesso non hanno un effettivo consenso popolare e, anche quando possono contare su un’ampia maggioranza parlamentare, entrano in crisi prima della fine della legislatura (vedi il quarto governo Berlusconi). E anche l’idea che le istituzioni funzionino meglio con «un uomo solo al comando» mostra la corda di fronte alla constatazione che, in un contesto di crisi che ha prodotto la crescita della povertà e delle diseguaglianze, sul leader plebiscitato si caricano enormi aspettative popolari che finiscono per essere deluse con il conseguente crollo progressivo della sua popolarità.

Le proposte presidenzialistiche (e non presidenziali sulla scorta del modello americano che conosce robusti contrappesi) ripropongono le ricette sbagliate che hanno prodotto i disastri degli ultimi 25 anni: riduzione dei partiti a partiti personali o padronali distanti dalla società, distacco dei cittadini favorito da marchingegni elettorali che alterano la rappresentatività e impongono la scelta dall’alto dei parlamentari, dominio dell’esecutivo sul parlamento. Il caso francese è sintomatico: il potere viene conquistato da un imprenditore politico con solidi agganci nel mondo della finanza che dà vita ad un partito con le sue stesse iniziali e ne sceglie in perfetta solitudine i candidati alle elezioni. Il nuovo partito ottiene la maggioranza assoluta dei seggi, ma a prezzo di un crollo della partecipazione popolare, che al secondo turno vede più del 57% di astensioni e, se si considerano le schede bianche e nulle, è pari a poco più del 38% degli elettori. Anche per l’Italia Ceccanti propone che le elezioni parlamentari seguano quelle presidenziali al fine di garantire una maggioranza favorevole al presidente, con buona pace dell’effetto depressivo sulla partecipazione. Ma va ricordato che il funzionamento delle istituzioni francesi è derivato da peculiarità storiche e personali non automaticamente riproducibili in Italia e che nel quadro di un esecutivo a due teste non si può escludere il verificarsi della cohabitation fra presidente e governo-parlamento di opposto colore politico, situazione che in Italia aggiungerebbe alla instabilità di governo la paralisi delle istituzioni.

Infine nel Pd circolerebbe l’idea di proporre una nuova legge elettorale e l’esclusione del senato dal rapporto di fiducia. Insomma un partito che si è dichiarato estraneo alla formazione del governo si farebbe portavoce di audaci proposte istituzionali (alcuni suoi esponenti sono arrivati a parlare di Assemblea costituente e di legislatura costituente). La legge elettorale dovrebbe riproporre il ballottaggio tra i due partiti più votati, che non sarebbe incostituzionale in quanto abbinato ad una differenziazione del bicameralismo. L’idea falsa è che la Corte costituzionale avrebbe annullato il ballottaggio previsto dall’Italicum perché il referendum costituzionale avrebbe mantenuto il bicameralismo perfetto, mentre in realtà l’ha fatto in quanto le sue modalità potevano produrre una alterazione incostituzionale della rappresentanza e dell’eguaglianza del voto. Né è meno falso che il ballottaggio fra liste sarebbe un sistema alla francese, visto che si tratta di un sistema proporzionale corretto da un abnorme premio di maggioranza, mentre quello francese è un sistema maggioritario a doppio turno in collegi uninominali che risponde ad una logica del tutto diversa.
Le vie da seguire per affrontare la crisi della democrazia in Italia sono opposte e passano per la rivalutazione della rappresentanza, il rafforzamento della partecipazione e la ricostruzione della politica. E quindi le soluzioni da percorrere sono una forma di governo parlamentare opportunamente irrobustita e un sistema proporzionale corretto (in modo da evitare la frammentazione della rappresentanza).