Le riforme costituzionali sono entrate nel vertice di maggioranza di ieri. Alla fine Enrico Letta, rassicurante su tutto, ha garantito l’intenzione del governo di rispettare l’impegno assunto davanti al parlamento nel giorno della prima fiducia: riforme avviate a conclusione entro 18 mesi oppure «ne trarremo le conclusioni» – dimissioni, si vuol fare intendere. Letta promette entro 18 mesi «il completamento del percorso di riforme costituzionali, che porti alla riduzione del numero dei parlamentari, al nuovo sistema con la fine del bicameralismo paritario, naturalmente la nuova legge elettorale».

Tutto quindi, anche la nuova legge elettorale di sistema che nelle intenzioni dell’esecutivo andrebbe messa a punto solo dopo aver chiuso l’accordo (ri)costituente sulla nuova forma di governo. È il compromesso che tiene insieme la maggioranza delle larghe intese, che non a caso ha cominciato a fibrillare quando il Pd ha spinto sull’urgenza delle modifiche «di salvaguardia» al Porcellum in vista della probabile bocciatura della legge in vigore da parte della Corte costituzionale.
Diciotto mesi sembrano davvero pochi, considerando che ce ne saranno voluti quasi tre quando il senato, la prossima settimana, chiuderà il primo dei quattro passaggi previsti per il disegno di legge costituzionale, che costituisce solo la premessa dell’auspicata opera riformatrice. Sopravvive però un equivoco: i 18 mesi secondo l’interpretazione autentica del governo vanno contati solo dal momento in cui le camere con la procedura prevista dall’articolo 138 vareranno questo primo disegno di legge costituzionale, e non dal giorno dell’insediamento. Nelle intenzioni del ministro Quagliariello il pronti via era collocato a ottobre.

Per arrivarci la camera ha inserito il ddl 813 nella programmazione dei lavori a fine luglio. Dopo quella decisione, però, sono cominciati a piovere sull’agenda di Montecitorio una serie di decreti legge, alcuni dei quali con scadenze ravvicinate – il decreto 69 recante misure per il rilancio dell’economia scade il 20 agosto così come quello per il pagamento dei debiti del Servizio sanitario nazionale; scade invece il 4 agosto il decreto sull’efficienza energetica – più ci sono in coda altre due leggi sulle quali il governo si è molto impegnato: il finanziamento ai partiti e le norme contro l’omofobia. Buon’ultima, dovrebbe aggiungersi al gruppo la – urgente – legge costituzionale per l’abolizione delle province, che potrebbe restare fuori dai compiti del «comitato» previsto dal ddl 813.
A differenza di quello del senato, il regolamento della camera non consente al governo di ottenere la procedura d’urgenza per l’esame di un disegno di legge costituzionale (articolo 69), dunque niente tempi di discussione dimezzati. Messe così le cose si capisce come, a meno di non costringere i deputati a lavorare a Ferragosto (mossa sempre rischiosa), sia probabile che il ddl costituzionale 813 finisca per essere approvato dalla camera non prima di settembre. Dopo di che per la regola dei tre mesi di «intervallo di riflessione» il via libera definitivo potrebbe arrivare più o meno in coincidenza con il natale. Fatto salvo l’eventuale referendum confermativo.

Con il calendario sotto gli occhi, allora, ben si comprende come martedì scorso, durante la maratona che ha consentito alla commissione di esaurire in un solo giorno tutti gli emendamenti al ddl 813, il ministro Quagliariello non si sia opposto alla nuova formulazione dell’articolo 4 (proposta dal Pdl). I lavori parlamentari, si legge adesso, sono organizzati in modo tale da «consentire» la conclusione delle riforme entro 18 mesi. Consentire, e non più «assicurare».