Sono tre i fronti aperti dal Pd per provare a riequilibrare il taglio dei parlamentari, e da tutti e tre arrivano segnali di cedimento. Segnali più netti proprio ieri, cioè il giorno dopo che Nicola Zingaretti ha fatto leva su questi «riequlibri» per schierare la direzione del Pd in favore del Sì al referendum costituzionale. E invece. La legge elettorale avrebbe dovuto essere incardinata come testo base in commissione, ma anche questo primo passaggio formale è slittato – probabilmente – a domani. La modifica della base elettorale per il senato, una riforma piccola ma di grande importanza per le liste minori sulla quale in teoria erano tutti d’accordo, è stata zavorrata da 850 emendamenti (la metà della Lega) e vede fortemente a rischio la possibilità di arrivare in aula, come previsto, entro la fine di settembre. Perfino l’equiparazione dell’elettorato attivo e passivo del senato a quello della camera è tornata in discussione e se passerà a palazzo Madama, oggi, sarà al prezzo di una rinuncia: l’età per diventare senatore non sarà più abbassata e resterà 40 anni contro i 25 richiesti per entrare alla camera dei deputati.

La legge elettorale proporzionale è la partita più importante. I nodi politici nella maggioranza sono tutti da sciogliere, per Leu la soglia di sbarramento prevista (5%) è troppo alta, per Italia viva è proprio il sistema proporzionale che non va (più) bene, a meno di non contestualizzarlo in un bicameralismo riformato (con la sfiducia costruttiva). Da ultimo i 5 Stelle hanno riaperto il tema delle preferenze, incontrando una sorda ostilità del Pd che teme sia un modo per allungare il brodo e considera di aver risolto la questione avendo scolpito nello statuto il ricorso alle primarie. Ieri però è stato l’ostruzionismo del centrodestra a far saltare i piani della maggioranza e il voto sul testo base – solo dopo comincerà la giostra degli emendamenti – è slittato a giovedì pomeriggio. L’opposizione proverà a bloccarlo ancora, ma di abitudine il giovedì sera è difficile mantenere compatte le delegazioni in commissione e Pd e 5 Stelle potrebbero passare di misura malgrado l’astensione di Leu e Iv.

La stessa prima commissione della camera e sempre giovedì dovrebbe cominciare a scalare la montagna di emendamenti calata sul disegno di legge costituzionale Fornaro. È quello che cancella la «base regionale» prevista in costituzione per l’elezione del senato, una modifica indispensabile per consentire anche alle liste minori di poter ambire a conquistare seggi senatoriali. È una delle due modifiche, l’altra è quella sull’elettorato del senato, che se approvate esaspererebbero il bicameralismo paritario italiano. Curiosamente il Pd le ha volute come «riequlibri» al taglio dei parlamentari, ma adesso Zingaretti annuncia che accompagnerà il Sì al referendum con una mossa esattamente in direzione opposta. Propone cioè di differenziare il bicameralismo e ha lanciato per questo una «raccolta di firme». Ceccanti e Parrini, parlamentari esperti della materia, stanno già lavorando a un testo in linea con l’idea avanzata dall’ex presidente della camera Violante, ma non è chiaro ancora se la raccolta di firme sarà simbolica o se il Pd preferirà non intestarsi direttamente la proposta e scegliere la strada della legge costituzionale di iniziativa popolare. Anche su questo le distanze con i 5 Stelle sono enormi, basta ritornare al loro No alla riforma costituzionale Renzi-Boschi quando il bicameralismo differenziato fu affossato fa dagli elettori nel precedente referendum costituzionale.

Oggi pomeriggio, infine, l’aula del senato potrebbe approvare la riforma costituzionale che abbassa a 18 anni l’età per votare i senatori. Ma non abbasserà più a 25 l’età per essere eletti al senato, così come previsto dal testo approvato in commissione. Il motivo di questo ripensamento – che piace poco a Iv che si asterrà sull’emendamento soppressivo – è quello di tenere dentro anche l’opposizione per raggiungere la soglia dei 2/3 dei favorevoli (necessaria in terza e quarta lettura, qui siamo alla seconda) che impedirebbe il referendum. Lo spiega il relatore e presidente della prima commissione al senato Dario Parrini (Pd) che aggiunge anche la necessità di accelerare i tempi della riforma. La camera infatti aveva approvato oltre un anno fa la sola modifica dell’elettorato attivo: questa riforma meno ambiziosa ma conforme alla prima lettura potrebbe completare il suo ciclo entro fine anno. Anche in questo caso, in definitiva, a farsi sentire è l’esigenza del Pd di incassare qualcosa a ridosso del sofferto Sì al taglio dei parlamentari. Probabilmente sottovalutando l’arma di propaganda che ha consegnato così alla destra. È partito infatti il il tiro contro una maggioranza che, in piena emergenza, crisi economica durissima e riapertura dell’anno scolastico nella tempesta, si occupa di legge elettorale.