Ci sono costituzionalisti (Azzariti, Bilancia, Carlassare, De Fiores, Ferrara, Pace, Rodotà, Rescigno, Villone, Volpi) e altre personalità (La Valle, Asor Rosa, Grandi) nel coordinamento per la democrazia costituzionale che ieri ha annunciato la nascita del comitato per il no al referendum confermativo. Al quale manca ancora un anno, ma gli avversari della riforma Renzi-Boschi hanno deciso di giocare d’anticipo. C’è una ragione: quando il disegno di legge di revisione costituzionale sarà approvato definitivamente in seconda lettura – ormai non ci sono incertezze né sui tempi né sull’esito – Renzi sarà lesto nell’intestarsi anche il referendum. «Decideranno i cittadini», ripete già da un po’, prefigurando una conta non sul complesso delle modifiche costituzionali, ma sul suo governo e su se stesso. Lo spirito del referendum costituzionale è opposto: si tratta dell’ultima possibilità per gli elettori di bloccare una riscrittura della Costituzione che dovrebbe essere circoscritta e puntuale (e così non è, trattandosi in questo caso della modifica di 43 articoli della carta fondamentale). Il Coordinamento dovrà spiegarlo bene.
E non sarà facile, perché il governo potrà chiedere ai parlamentari di maggioranza di firmare immediatamente la richiesta di referendum, mentre i cittadini avranno bisogno di raccogliere 500mila firme (in tre mesi). A meno che, e anche così si spiega la mossa d’anticipo del Coordinamento, un numero sufficiente di parlamentari di opposizione non decida di firmare la richiesta in rappresentanza del comitato del no. Servono 65 firme di senatori o 126 di deputati, alla camera i cinque stelle e il nuovo gruppo di sinistra con Sel e gli ex Pd (che nel frattempo dovrebbe essersi formato) potrebbero farcela da soli, senza l’ingombrante appoggio di Lega e Forza Italia. Costituirsi come comitato non è una dettaglio: i cittadini che fanno campagna per il no sono riconosciuti (per la durata del referendum) come un «potere dello stato», hanno diritto a un finanziamento pubblico e a spazi televisivi regolati dall’Authority.

L’altro fronte aperto dal Coordinamento è quello della legge elettorale. L’Italicum sarà aggredito da due lati. Nella prossima primavera partirà la raccolta di firme per due quesiti referendari – abolizione dei capilista bloccati e del premio di maggioranza e ballottaggio. In questo caso la consultazione popolare potrebbe tenersi solo nel 2017, probabilmente troppo tardi. In caso di elezioni anticipate, infatti, tutti i referendum già convocati slittano di un anno. Per un referendum abrogativo che ha ad oggetto proprio la legge elettorale il rinvio sarebbe disastroso. Così l’avvocato Felice Besostri, che ha già segnato un punto nella battaglia contro il Porcellum, ha studiato una serie di ricorsi contro l’Italicum; nelle prossime due settimane saranno presentati nei tribunali delle principali città. Dal ricorso al giudice ordinario firmato da cittadini più o meno illustri che denunciano una lesione del loro diritto di voto libero e uguale (citando in giudizio il presidente del Consiglio) può partire l’eccezione di incostituzionalità. In particolare sul premio di maggioranza che, nel caso di ballottaggio, può essere assegnato senza soglia: anche il partito che al primo turno ha ottenuto il 25% potrebbe vincere il 54% dei seggi. L’ex giudice costituzionale Paolo Napolitano che era nel collegio che bocciò il Porcellum ha già spiegato chiaramente (Corriere della Sera, 11 settembre) che l’Italicum presenta gli stessi profili di illegittimità. I ricorsi però hanno bisogno di tempo: i tribunali potrebbero ritenerli non ammissibili perché l’Italicum non è ancora applicabile (per la clausola che lo rimanda all’agosto 2016), anche se la Cassazione nel caso del Porcellum ha stabilito che il danno per gli elettori comincia nel momento in cui la legge elettorale viziata viene promulgata. Con il Porcellum ci sono voluti cinque anni dalla presentazione del primo ricorso fino alla sentenza della Consulta – ma solo otto mesi da quando un giudice ha finalmente riconosciuto «non infondata» la questione di incostituzionalità.
Vero è che nella riforma Renzi-Boschi, una volta approvata, dunque tra un anno nel caso vincano i sì al referendum, c’è una porta che può condurre l’Italicum immediatamente davanti alla Consulta. Potrebbero portarcelo, per effetto delle nuove norme, deputati o senatori delle minoranze. Ma potrebbero farlo solo in questa legislatura ed entro dieci giorni dall’entrata in vigore della riforma. Se davvero Renzi decidesse di fare qualche modifica all’Italicum, per esempio riportando il premio alla coalizione invece che alla lista, questa porta si potrebbe chiudere. Contro l’Italicum resterebbero allora in piedi le iniziative annunciate ieri, i referendum e i ricorsi. Che rischiano però di arrivare tardi.