Chi ha vinto nella notte della commissione affari costituzionali al senato? Renzi che è riuscito a far approvare come testo base della riforma del bicameralismo il disegno di legge presentato dal governo? O Berlusconi che ha dimostrato quanto i voti di Forza Italia siano indispensabili al presidente del Consiglio?

Una decisione assunta dai commissari in conclusione di seduta illumina la scena. La commissione si è data come termine per la presentazione degli emendamenti venerdì 23 maggio, due giorni prima delle elezioni europee. Il che vuol dire che il confronto vero su come e quanto cambiare la proposta del governo avverrà una volta che i rapporti di forza politici saranno stati pesati nelle urne. Per gli equilibri parlamentari, sfavorevoli all’esecutivo come si è visto nel caso dell’approvazione dell’ordine del giorno Calderoli, non cambierà nulla. Ma a giugno il patto Renzi-Berlusconi che è scattato nella notte di martedì andrà rivisto sulla base della comune convenienza al voto politico anticipato, nella primavera 2015. La legge elettorale, dunque, tornerà ad avere la prevalenza. Mentre l’ultimatum bis di Renzi per le riforme, fissato adesso al 10 giugno, rischia di saltare com’è saltato il precedente.

In tutto questo la Costituzione c’entra poco, e anche il regolamento parlamentare deve restare fuori dalla porta. Pur di venire incontro alle necessità del governo, infatti, la presidente Finocchiaro ha messo ai voti prima un ordine del giorno che sconfessava i contenuti del testo del governo, poi il testo stesso come se nulle fosse accaduto. Diversi senatori, di Sel, Forza Italia, M5S, Gal e gruppo Misto, hanno fatto notare l’assurdità. E ieri il senatore Stefano di Sel ha chiesto al presidente del senato Grasso di esprimersi. La risposta tradisce l’imbarazzo. Grasso copre l’operato della presidente Finocchiaro e sostanzialmente dice che quello era l’orientamento prevalente della commissione, tanto che poi il testo del governo è stato approvato. Ma il resoconto della seduta, con le proteste dei commissari e la presidente che riconosce che si è trattato «certamente di una procedura non comune», lo smentisce. La situazione diventa così paradossale. Il disegno di legge del governo è stato assunto come testo base ma è in minoranza. Renzi ha avuto il suo tweet di gloria, ma il sì all’ordine del giorno Calderoli lo ha parzialmente oscurato. Adesso il presidente del Consiglio fa sapere che un ordine del giorno «vale zero». Ma è stato lui con la ministra Boschi a proporre questa soluzione, quando aveva in mente un ordine del giorno diverso.

La strategia di abbracciare Berlusconi solo sulle riforme si dimostra impraticabile, nel momento in cui alle riforme Renzi lega il suo destino politico. Arrivando – cosa inaudita – a minacciare le dimissioni nel caso il parlamento osasse avere un’opinione diversa dalla sua in tema di revisione costituzionale. Fare le larghe intese senza Berlusconi è un’operazione di equilibrio assai difficile. Prima di Renzi lo aveva imparato Letta.