Si discute su come discutere. Sarà pure «la grande legislatura delle riforme» come proclama Matteo Renzi nella comparsata al question time della camera, ma intanto su legge elettorale e bicameralismo si procede a tentoni. Soprattutto perché gli alleati occasionali del premier mantengono la paura che Renzi voglia chiuderla presto questa «grande legislatura», e prima di aver fatto le riforme.

Alla camera sulla Costituzione. L’ufficio di presidenza della prima commissione avrebbe deciso di tenere sedute anche venerdì, sabato e domenica prossimi. Avrebbe, perché si capirà oggi se la maggioranza è in condizione di affrontare gli articoli più delicati. Altrimenti le tappe sarebbero forzate ma vuote, come già ieri e martedì. L’obiettivo del governo è noto: far comparire il disegno di legge costituzionale Renzi-Boschi almeno un giorno in aula prima delle feste, per avere agio di approvarlo a gennaio. Se si pensa che anche i renziani più ottimisti collocano nella primavera 2016 la fine del percorso, si capisce quanto sia strumentale questa fretta. E infatti correndo è rimasto indietro il merito della riforma. Il patto del Nazareno non ha i numeri per passare liscio in commissione alla camera, dovrebbe sostituire non due commissari (come avvenne al senato) ma una decina della minoranza Pd, ammesso che regganno.

Ieri sera la ministra Boschi ha convocato un’ennesimo vertice alla camera, le posizioni sono lontanissime visto che gli emendamenti dei bersaniani presi insieme disegnano un’altra riforma. Il deputato Giorgis spiega con pazienza perché la presenza dei sindaci (figure amministrative ed esecutive) non è coerente neanche con il senato disegnato da Renzi, ma si sa che Renzi non ci sta a rinunciare all’unico sindaco (per regione) che è rimasto nel testo approvato al senato, lui che in partenza voleva 108 sindaci senatori. Qualche passo il governo è disposto a farlo (elezione del presidente della Repubblica, legge elettorale alla Consulta), qualcuno ha già cominciato a farlo facendo capire di poter tornare indietro sulla bizzarra promulgazione parziale delle leggi (resterebbe per le leggi di conversione dei decreti). Ma il punto è che senza un accordo su composizione e funzioni del senato (comunque da rivedere) non si può cominciare ad affrontare i primi due articoli del disegno di legge. La minoranza Pd è troppo numerosa in prima commissione e calcolando a spanne (non tutti sono convintissimi) tra favorevoli e contrari al testo del governo c’è equilibrio. Boschi non può rischiare.

Al senato sulla legge elettorale: il lavoro di commissione andrebbe interrotto perché si apre la sessione di bilancio. Ma arriverà una deroga. Eppure nessuno parla più della possibilità di approvare l’Italicum, nella sua nuova versione, entro natale. Al massimo arriverà anche in questo caso solo in aula, e non è facile. Tiene banco l’idea di Renzi di approvare la legge comunque in tempi brevi, ma rinviandone l’entrata in vigore al gennaio 2016. Una clausola per assicurare la sopravvivenza del parlamento un altro anno, una clausola però che potrebbe persino essere cancellata successivamente per correre alle urne, chi può dirlo? Non si fidano un bel po’ di senatori del Nuovo centrodestra. Una decina che mentre Alfano magnifica l’accordo sulle riforme e il suo nuovo gruppone centrista, si sfila. E fa ballare ancora l’Italicum