La legge, che ha poco più di due anni di vita, era stata sostenuta con entusiasmo da tutti i partiti delle larghe intese; adesso è difficile trovare qualcuno che la difenda. Tra i critici c’è un bel gruppo di parlamentari Pd, alcuni dei quali pure allora (governo Monti) votarono sì, e adesso vogliono tornare indietro. La legge è la legge costituzionale che dall’aprile del 2012 ha introdotto l’obbligo di pareggio di bilancio in costituzione. I parlamentari democratici Fassina, D’Attorre, Gotor, Tocci, Chiti, Cuperlo, Civati, Broglia, Guerra e Giorgis hanno firmato ieri una nota congiunta per chiedere ai senatori che si stanno occupando della riforma della Costituzione (soprattutto del bicameralismo) di non dimenticare quella riforma fatta per venire incontro alle richieste europee di austerità. Sono tutti parlamentari della minoranza, o ex minoranza Pd, «civatiani» e «bersaniani». Alcuni di loro due anni fa votarono a favore della legge che adesso vogliono cambiare, nata del resto anche per iniziativa di Bersani, segretario di un Pd impegnato a sostenere Monti.
L’Italia, lo ricordiamo, strafece. Nulla del cosiddetto «six pack» europeo, infatti, obbligava a blindare l’obbligo di pareggio di bilancio addirittura nella carta costituzionale. Ci furono allora molti appelli e interventi (su queste pagine) perché i parlamentari lasciassero aperta almeno la via del referendum confermativo. Fu tutto inutile perché il clima di larghe intese consenti a Forza Italia, al Pd e ai centristi di imporre la riforma. E così adesso all’articolo 81 della costituzione italiana si legge che «Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali».

La regola del voto a maggioranza assoluta prevede cioè che l’opposizione debba appoggiare gli sforamenti decisi dal governo: fantascienza a meno che non si perpetui in eterno il regime della larghe intese. Regola sbagliata dicono, adesso, i parlamentari democratici. Che scrivono: «La politica economica dell’euro-zona e le politiche economiche nazionali da essa dettate vanno radicalmente corrette. L’austerità e la svalutazione del lavoro, cardini della linea liberista e mercantilista dominante nell’euro-zona, dopo sei anni lasciano sul campo milioni di disoccupati in più, centinaia di migliaia di piccole imprese chiuse e debiti pubblici impennati e sempre più a rischio di sostenibilità». E dunque propongono di rilanciare la domanda aggregata con una politica di «sostegno in deficit agli investimenti» e con «una politica di bilancio anti-ciclica». Per questo chiedono di introdurre nella attuale rigida formulazione dell’articolo 81 la cosiddetta «golden rule» quella cioè che consente di non considerare la spesa pubblica per investimenti nei calcoli per il pareggio di bilancio. Che è poi, fanno notare i parlamentari, quello che il governo si sta «giustamente» impegnando a chiedere a Bruxelles. Se la «golden rule» deve valere per l’Europa, è la sintesi, l’Italia deve cominciare ad applicarla in casa sua.

Ci sono emendamenti in questo senso già depositati, assieme agli altri quasi 5mila, in prima commissione al senato. Dove però l’attenzione è tutta sulle modifiche al bicameralismo, e dunque sul nuovo modo di elezione del senato. La situazione è in stallo fino alla prossima settimana, gli emendamenti che puntano a rovesciare l’impostazione governativa – che non prevede l’elezione diretta dei senatori – sono numerosi e soprattutto portano le firme di tutte le forze di maggioranza. La via d’uscita per Renzi resta quella di far cambiare idea a Berlusconi e riguadagnarne il consenso. Per questo i due dovrebbero tornare a incontrarsi.