Otto sedute per votare otto emendamenti, tutti dei relatori e solo sugli aspetti secondari della riforma costituzionale. È il lavoro svolto dalla prima commissione del senato nelle ultime due settimane. Restano da definire la funzione e la composizione delle camere e manca ancora l’intero capitolo del regionalismo, il famoso Titolo V. Bisogna votare altri dodici emendamenti dei relatori su tutti gli aspetti centrali della riforma (come si scelgono i senatori? di cosa si devono occupare?) e ci sono un numero enorme di proposte alternative della maggioranza «allargata» e della minoranza. Ebbene, per rispettare la tabella di marcia, tutto questo lavoro bisognerà farlo in due o tre giorni. E se fino a ieri a dettare i tempi del senato era il capo del governo, adesso è direttamente il capo dello stato.
Una mossa mai vista da parte del presidente Napolitano, che ieri ha deciso di intervenire in prima persona nel dibattito, accesissimo in queste ore, tra sostenitori e critici della riforma costituzionale governativa. Basta, ha detto, si è discusso abbastanza.

Che si debba correre lo sostiene Renzi, eppure il presidente della Repubblica assicura di parlare «senza pronunciarsi sui termini delle scelte in discussione». Ma i termini, adesso, sono proprio questi: bisogna necessariamente chiudere al senato entro la pausa estiva, o c’è il tempo di correggere l’esecutivo? Non c’è tempo, dice il Quirinale. Secondo il Colle bisogna evitare «ulteriori spostamenti in avanti dei tempi di un confronto che non può scivolare, come troppe volte è già accaduto, nell’inconcludenza».

A Napolitano si erano rivolti in molti in questi giorni. Ma per la ragione opposta: invitavano il presidente, garante di tutti, a tutelare la separazione di ruoli tra il parlamento e l’esecutivo, specie in materia di leggi di revisione costituzionale. La legge in discussione, in particolare, è stata scritta direttamente dal presidente del Consiglio. Gli emendamenti accolti sono stati tutti discussi a palazzo Chigi. E i tempi della discussione sono quelli che vuole il capo del governo, che da marzo sta andando avanti di ultimatum in ultimatum. Tant’è che un gruppo di senatori, i cosiddetti «dissidenti» di tutti i partiti, era pronto a chiedere al presidente del senato di esprimersi, e di assegnare alla commissione e all’aula un congruo tempo di approfondimento. Chiedevano alla seconda carica dello stato, Grasso, di frenare la corsa di Renzi. È stato proprio in questo momento che ha deciso di intervenire la prima carica, Napolitano. Per accelerare.

La nota del Colle sposa in tutto l’impostazione renziana, e abbonda di riferimenti per dimostrare che ormai del bicameralismo paritario e «delle sue ricadute negative sul processo di formazione delle leggi» si è discusso abbastanza. Il presidente dice che c’è stata «un’ampia apertura di dibattito» e che si è «prolungata notevolmente rispetto agli annunci iniziali», cioè la promessa di Renzi di chiudere al senato in un mese, entro lo scorso 25 maggio. Non solo: il capo dello stato si spinge a valutare la quantità di audizioni che sono state svolte in commissione affari costituzionali al senato – «larghe audizioni» – e non trascura un giudizio sul numero di correzioni suggerite dai relatori al testo del governo (con l’ok del governo) – «ricca messe di emendamenti».

La cronaca parlamentare del Colle spalanca al disegno di legge Renzi-Boschi le porte dell’aula del senato. Che ha bisogno di accogliere la «grande riforma» renziana tra la fine di questa settimana e l’inizio della prossima, al massimo. È questa la condizione indispensabile per provare a mandare gli italiani, e i parlamentari, in vacanza con un primo passaggio compiuto sulle riforme costituzionali. È la prima emergenza nazionale? Non pare, ma a Renzi importa così e il parlamento, sezione distaccata di palazzo Chigi, deve adeguarsi. Ieri sera c’è stata l’ennesima riunione dei senatori del Pd, anche questa dedicata non a discutere l’impostazione governativa ma a richiamare all’ordine i dissidenti. Tant’è che Renzi non si è neanche presentato: non c’era nulla da spiegare. Nessuna risposta neanche sulle questioni rimaste senza soluzione, quelle che anche i renziani ammettono che andranno registrate.

osì è ancora previsto che il presidente della Repubblica sia eleggibile da un solo partito, che i deputati non diminuiscano di un’unità (vanificando il decantato «risparmio» sul senato), che un sindaco o un consigliere regionale nei guai con la giustizia possano trovare riparo nell’immunità senatoriale… Si correggerà? E come? Solo a chiederlo si finisce tra i frenator. La fretta è persino maggiore di quella che guidò alla camera l’approvazione della legge elettorale, quella che adesso tutti vogliono cambiare. O in altre legislature ispirò le riforme costituzionali dell’articolo 81 e di tutto il Titolo V, due fallimenti riconosciuti.

Da ieri sera il «patto del Nazareno» tra Renzi e Berlusconi è più forte. La guardia di Napolitano indebolisce i senatori critici e lascia poco spazio ai tentativi di correzione della riforma. Sono oltre quaranta gli articoli della Costituzione da modificare e l’importante, dice Napolitano, è farlo. Se c’è un argomento che il presidente della Repubblica dimentica, ecco a ricordarlo il capogruppo Pd Zanda: è urgente trasformare sindaci e consiglieri regionali in senatori perché «ce lo chiede l’Europa».