Dibattito distratto e aula semivuota nell’unica giornata dedicata alla discussione generale sulla riforma costituzionale, che oggi pomeriggio sarà approvata in seconda lettura dal senato. Serve la maggioranza assoluta (almeno 161 voti) e ci sarà, prima di cena perché capigruppo e presidente Grasso hanno già fissato la scadenza. L’opposizione ha protestato anche per questo un’ultima volta invano, più attenzione ha ricevuto il senatore Quagliariello, già ministro e gran sostenitore delle riforme che ha annunciato che non le voterà – ma si era capito quando ha lasciato Alfano e ha scoperto l’anti renzismo.
Quello di oggi è il penultimo passaggio, a metà aprile toccherà alla camera l’ultimo voto. E a ottobre il referendum. Immaginando un ritorno di attenzione per l’argomento, sia il centrodestra (Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia) sia i centristi extra Alfano (Giovanardi, Mauro) sia i senatori bersaniani (Fornaro, Corsini) hanno prenotato la sala delle conferenze stampa: i primi due gruppi per presentare differenti comitati del No, la minoranza Pd invece illustrerà la sua proposta di legge (ordinaria) «norme per l’elezione del senato della Repubblica». Senato che però, è uno dei capisaldi della riforma, non sarà elettivo. I margini di ambiguità sono nelle norme transitorie, dove è stato previsto che a scegliere i futuri senatori saranno i consiglieri regionali ma «in conformità» con le indicazioni degli elettori nelle elezioni regionali. È la mediazione che ha consentito alla minoranza Pd di rientrare in maggioranza e votare la revisione costituzionale. Ma se una legge attuativa non sarà approvata entro la legislatura sarà stata una mediazione inutile. Da qui l’iniziativa dei bersaniani. Che però non proporrano aut aut e non mettono in discussione il loro sì alla riforma, e pure al referendum.
Se la maggioranza, grazie all’appoggio dei senatori di Verdini, raggiungerà di certo la soglia dei 161 voti, altrettanto certamente resterà lontana dai 214 (due terzi dei componenti). Ecco perchè per promulgare la riforma bisognerà passare dal referendum. Da qui alla fine della legislature il quadro istituzionale cambierà almeno tre volte.

Per i prossimi cinque mesi e mezzo, fino al 30 giugno, avremo le camere in carica nel pieno delle loro funzioni – malgrado siano state elette con una legge giudicata incostituzionale due anni fa dalla Consulta – e una legge elettorale con la quale si potrebbero rinnovare entrambi i rami (a questo punto in linea solo teorica), la legge uscita dalla sentenza della Corte: proporzionale con soglie di sbarramento. Dal primo luglio, quando scadrà la «clausola di salvaguardia» che fu applicata all’Italicum e fino all’esito del referendum, dunque prevedibilmente per altri quattro mesi, una nuova legge elettorale iper maggioritaria per eleggere la camera e la vecchia proporzionale con sbarramento per il senato. Situazione destinata a perpetuarsi nel caso di vittoria dei no ai referendum, ragione per cui l’Italicum si rivelerebbe una legge del tutto irragionevole. Perché mortifica la rappresentatività – regalando un super premio in seggi al partito che vince il ballottaggio a prescindere dalla percentuale raccolta al primo turno – senza poter nemmeno garantire la formazione di un governo, visto che se la Costituzione non cambia l’esecutivo dovrà chiedere la fiducia anche al senato eletto con una legge diversa (senza il premio). Ragione per cui la Corte costituzionale potrebbe fare il bis del Porcellum e abbattere anche questa legge: la questione dovrebbe essergli sottoposta per fine anno da almeno uno dei tanti tribunali dove è stato presentato ricorso.
Se invece al referendum dovessero vincere i sì, sulla carta avremmo un nuovo assetto bicamerale con una sola camera elettiva e una legge in grado di assolvere al compito. Resterebbe il problema del nuovo senato che per un verso si vorrebbe scelto «in conformità» con le scelte degli elettori e per un altro sarà affidato agli accordi tra i partiti nei consigli regionali. Ma potrebbe essere il problema minore, perché la riforma costituzionale ha introdotto una strada veloce per sottoporre alla Consulta l’Italicum. Reggerà? In teoria anche la nuova legge elettorale potrebbe essere corretta in questa legislatura. E in teoria entro il 2018 ci sarebbe il tempo di approvare regole (più) chiare per la scelta dei senatori. Ma in pratica quanto a lungo potrebbe resistere un parlamento (peraltro eletto con una legge illeggittima) in valenza di una nuova Costituzione che ne cambia i connotati? Soprattutto il «vecchio» senato, essiccato dalal riforma nella composizione e nelle funzioni, non diventerà un alibi perfetto per il presidente del Consiglio interessato a chiudere in anticipo la legislatura?