Non sarà una passeggiata, e non sarà una cosa rapida. Ieri le votazioni sulla riforma della Carta sono slittate: si comincerà oggi, ma già fra due giorni il dibattito dovrà essere interrotto pena la decadenza di una raffica di decreti. Non tutti i circa 7800 emendamenti saranno ammessi, com’è ovvio, Ma Calderoli, uno che se ne intende, ha aperto la sua relazione complimentandosi con Sel: «Non solo per il numero ma anche per la qualità degli emendamenti. Almeno il 60% arriveranno al voto». Significa 4mila emendamenti e passa, e ognuno richiederà 10 minuti di illustrazione, più il voto.

Governo e maggioranza si preparano ad affrontare la sfida, ma quando in ballo c’è la riscrittura della Carta non si può andare giù con il martello come nelle abitudini di Matteo Renzi, a colpi di ghigliottine e fiducia (che invece sarà certamente messa su tutti i decreti in scadenza). Lo ha ricordato ancora una volta Calderoli: «Attenti con i regolamenti,perché se sbagliamo avremo fatto perdere al Parlamento un anno e mezzo di tempo: tanto ci vuole per una riforma costituzionale».

Di certo ci sarà il «canguramento» cioè l’accorpamento degli emendamenti simili. Il capogruppo di Fi Paolo Romani ha già dato il semaforo verde. Ma già sul contingentamento dei tempi la faccenda si fa più complicata, anche perché il presidente Grasso, per comprensibili quanto sacrosanti motivi, preferirebbe evitarlo. Ottimisti, i senatori del Pd prevedevano ieri di concludere il braccio di ferro entro i primi di agosto. Ma in realtà è più probabile che si arrivi al limite dell’8 agosto e non è detto che basti.

[do action=”citazione”]Tra decreti in scadenza e ostruzionismo, probabile il rinvio a dopo la pausa estiva. Il governo critica le «allucinazioni autoritarie»[/do]

Il clima surreale in cui si svolge il dibattito su quella che, in teoria, dovrebbe essere la legge più meditata, è stato illustrato alla perfezione, ieri, sia dal discorso durissimo della ministra Boschi, sia dalle contestazioni rumorose con cui è stato accolto dall’aula. Mettiamo pure da parte la retorica del cambiamento, che la ministra ha peraltro sparso a piene mani, dal bisogno di «rendere le istituzioni vive e attuali» ai «trent’anni che prendiamo a schiaffi l’opportunità di cambiare noi per cambiare il Paese». Quello in fondo è repertorio: un po’ comiziaccio, un po’ cabaret.

Il pezzo forte arriva quando Boschi deve rispondere alle critiche. Le liquida con lo stesso piglio col quale, in una sciagurata intervista del giorno prima, aveva dichiarato conclusa la fase in cui la riforma andava messa a punto ed emendata, lasciando così all’aula, secondo una concezione eloquente della democrazia parlamentare, solo il compito di ratificare e approvare.

«Qualcuno – scandisce – parla di svolta autoritaria: questa è un’allucinazione e come tutte le allucinazioni non può essere smentita con la forza della ragione. È una bugia e, come diceva un grande toscano, Amintore Fanfani, in politica le bugie non servono». È a questo punto che dall’aula sono fioccate le contestazioni, e a protestare non erano solo le opposizioni ma anche i senatori dissidenti presenti in diversi gruppi.

Poi è toccato alla relatrice di minoranza Loredana De Petris, nella sua replica, spiegare perché la deriva autoritaria, purtroppo, non è affatto un’allucinazione e a Vito Petrocelli, per il M5S, ricordare che tra gli allucinati ci sono alcuni tra i migliori costituzionalisti italiani, da Pace a Rodotà a Zagrebelsky.

Checché ne pensi Maria Elena Boschi, comunque, è improbabile che l’aula di palazzo Madama si limiti a controfirmare il testo partorito dalla commissione Affari costituzionali. Nella replica è stata la stessa presidente della commissione Anna Finocchiaro ad anticipare alcune modifiche possibili, in particolare sui referendum e sulle leggi di iniziativa popolare, che il testo attuale rende proibitivi. Il collega Calderoli, a sua volta, ha insistito sulla necessità di rendere obbligatorio il referendum anche qualora la riforma ottenesse la maggioranza dei due terzi, con la Finocchiaro che annuiva vistosamente.

Il passaggio su referendum e leggi popolari era anche un tentativo di recuperare la Lega, al momento decisa a bocciare la riforma ove non fossero accolti i suoi emendamenti, che riguardano appunto i referendum. Ma quello che chiede il Carroccio non è il semplice abbassamento delle firme necessarie per indire i referendum. Vuole che sia sancita la possibilità di appellarsi al popolo in materia di Europa e vuole introdurre i referendum propositivi, concessioni che il governo non può fare. Il recupero della Lega è dunque pochissimo probabile.

Ma ci sono emendamenti ancor più insidiosi, come quelli sul numero dei deputati, sull’immunità, sulle indennità, sulle funzioni del Senato.

Quel che preoccupa Matteo Renzi, al proposito, è che dai regolamenti salti fuori qualche regoletta che consenta il voto segreto. Ove mai fosse trovata, il rischio per la sua riforma sarebbe davvero grosso.