«Si poteva fare meglio», dice il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia commentando il sistema elettorale per la componente togata del Csm scelto dal governo con gli emendamenti alla riforma dell’ordinamento giudiziario. E non vorrebbe dire altro, anche perché la posizione della magistratura associata è assai articolata, un recente referendum consultivo ha visto prevalere l’opzione proporzionale ma con buoni consensi per il maggioritario e persino per il sorteggio. «È un intervento un po’ a metà», dice Santalucia, «vedremo come andrà il dibattito parlamentare». Ma è sulle cosiddette porte girevoli che ha da dire di più: «Il problema dei magistrati in parlamento è ormai minimale, l’Anm sollecita una soluzione da tempo, da quando i casi erano assai più dei tre, quattro di adesso. La necessità di garantire il ruolo indipendente e autonomo e non schierato del magistrato è sacrosanta – aggiunge – ma dal mio punto di vista allontanare per sempre dalle funzioni giurisdizionali chi ha fatto un’esperienza politica locale mi sembra assai radicale e penso che meriti un’attenzione del parlamento ai profili costituzionali». L’articolo 51 della Costituzione recita che «chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro».

Il segretario di Area democratica per la giustizia Eugenio Albamonte è soddisfatto che abbia «in qualche modo pagato in la nostra lunga insistenza contro una legge elettorale per il Csm piegata solo sul maggioritario, come l’attuale. Il fatto che siano stati introdotti significativi correttivi proporzionali è sicuramente positivo». Meno positivo il commento su altri aspetti, per esempio sul ritorno o non ritorno nelle funzioni dei magistrati dopo un mandato elettorale o di governo: «Le soluzioni che sono state trovate per i magistrati amministrativi sono molto più a fuoco del sistema nebuloso previsto per gli ordinari», dice Albamonte. E aggiunge di non spiegarsi perché aver fatto parte come tecnico di un ministero, ad esempio come capo di gabinetto, debba comportare la collocazione in un ruolo «che non si capisce bene cos’è» quando «meglio sarebbe stato escludere questi magistrati dagli incarichi direttivi e semidirettivi per un periodo». Secondo il segretario di Area bisognerebbe fare un censimento delle posizioni fuori ruolo, perché «ce ne sono alcune che sono prettamente collegate alla funzione giudiziaria, ma tante altre che servono da rifugio per i colleghi che si allontanano dal lavoro in procura e nei tribunali».

Molto negativo invece il giudizio di Stefano Musolino, segretario di Magistratura democratica, sul sistema elettorale indicato dal governo. «Non rispetta la chiarissima volontà dei magistrati che in netta maggioranza si sono espressi per il proporzionale», spiega. «La politica non riesce a capire che è proprio nel sistema maggioritario che si annida il pericolo di favorire nuovi scandali, La moltiplicazione dei collegi – aggiunge – non avrà altro risultato che rafforzare i potentati locali che sono alla base della crisi che sta vivendo la magistratura». «Sono deluso – dice Musolino – perché mi aspettavo uno sforzo in più contro il carrierismo. È giusto prevedere che chi ha un incarico direttivo deve garantirlo per sei anni, ma tutta la magistratura associata auspicava una moratoria di due anni tra un incarico semidirettivo e uno direttivo, per evitare quelle carriere costruite lontane dal lavoro di trincea che sono una delle cause della degenerazione che abbiamo vissuto. Dalla crisi non si esce senza rilanciare il ruolo vivo della giurisdizione».