Il 2017 della Romania si sta chiudendo esattamente come era cominciato: con le proteste in strada della società civile a scandire i giorni del biasimato governo socialdemocratico.
Nei primi mesi dell’anno, cittadini inviperiti affollavano le strade della capitale e delle principali città del paese balcanico per esprimere il proprio dissenso nei confronti del tentativo di modifica del codice penale tramite una semplice ordinanza di urgenza, tentativo poi momentaneamente abortito dall’esecutivo proprio per le veementi manifestazioni di piazza.

UNA RABBIA che è rimasta sopita per qualche mese e che è riesplosa nel mese di novembre quando, sempre per il tramite del tam-tam da social media, la società civile si è di nuovo organizzata per manifestare contro la corruzione e, nello specifico, contro la riforma della giustizia e tutti coloro che ne potrebbero beneficiare, a partire dal leader del partito socialdemocratico, Liviu Dragnea, coinvolto in due diversi processi per corruzione.

NEL MEZZO, UN ESECUTIVO che ha resistito con non poche difficoltà, aggrappato al potere con i denti, che ha superato diverse crisi, cambiando tra svariati rimpasti, da quando è cominciata la legislatura nel dicembre del 2016, anche tre ministri della difesa ma soprattutto due premier (Mihai Tudose ha preso il posto di Sorin Grindeanu pochi giorni dopo l’elezione di quest’ultimo). E non è mai riuscito a conquistarsi la fiducia del proprio popolo (esclusi, forse, i suoi elettori), nè delle istituzioni internazionali, in particolar modo della Commissione europea, sempre più preoccupata dalla strada intrapresa dalla Romania nel percorso verso la giustizia e la lotta alla corruzione.

IL GOVERNO è accusato di voler minare alla base l’indipendenza dei giudici, eliminando il presidente della repubblica dalla procedura di nomina dei procuratori capo, la cui durata del mandato verrebbe estesa da tre a quattro anni, a vantaggio del ministro della giustizia che avrà anche la facoltà di chiedere al procuratore generale della Dna (Direziona nazionale anticorruzione) e della Diicot (la Direzione Nazionale contro i crimini ed il terrorismo) informazioni sulle attività dei procuratori e di indirizzare per iscritto la loro attività nella prevenzione e nella lotta alla criminalità. La riforma, che prevede anche alcune modifiche del codice di procedura penale, è stata approvata dalla camera dei deputati ed è in procinto di arrivare sui banchi del senato per essere approvata definitivamente.

Ma la strada potrebbe essere ancora lunga e se politicamente i numeri perché la maggioranza approvi le riforme ci sono, rimane la «resistenza» (il termine che unisce tutti i manifestanti rumeni è «rezistam», cioè «resistiamo») della piazza sostenuta anche da personalità di spicco come l’ex premier tecnocrate Dacian Ciolos e dagli stessi giudici e magistrati che lunedì sono scesi anch’essi in strada per esprimere il loro disappunto.

MENTRE L’OPPOSIZIONE, in particolare quella dell’Usr (Unione Salvate la Romania) cercherà in tutti i modi leciti di fermare l’approvazione delle leggi: «Se non riusciremo a bloccare la votazione al Senato – ha dichiarato in una nota il presidente Usr, il deputato Dan Barna – ci appelleremo nei prossimi giorni direttamente alla corte costituzionale per contestare tutte le iniziative volte a favorire l’integrità giuridica di Dragnea e dei suoi baroni».

LA SFIDA PER IL GOVERNO non viene però solo dalla piazza. La spregiudicata politica finanziaria, così come definita qualche tempo fa dal presidente della repubblica, Klaus Iohannis, del governo socialdemocratico, ha costretto l’esecutivo a preparare un piano per il prestito di 8 miliardi di euro in due anni per coprire il deficit di bilancio arrivato al limite massimo consentito dall’Unione europea e per far fronte ad alcuni debiti esteri.
Una mossa forzata che potrebbe creare gravissime difficoltà finanziarie ad un paese ancora «in lutto» per la morte di Re Mihai I, l’ultimo ex monarca rumeno di cui proprio domenica si sono celebrati i funerali.