Non è la spallata al diritto del lavoro che sognava la parte più aggressiva del padronato. Ma non è neppure una modernizzazione innovativa delle relazioni sociali, delineata da un sindacato riformista come la Cfdt.

LE 5 «ORDINANZE» sulla riforma del codice de lavoro, rivelate ieri dal governo francese, si riassumono in una serie di misure (36 le più importanti) che riguardano questioni enormi per il mondo del lavoro, trattate in circa 200 pagine di testo, destinate a introdurre in Francia una forte dose di contrattazione nelle relazioni tra parti sociali. Una riforma «alla tedesca» in un paese che ha invece una tradizione di lotte, che fa temere un eccessivo potere in mano al padronato soprattutto nella piccola e media impresa, mentre per i 18 milioni di lavoratori del settore privato (a cui si applica il Codice del lavoro) ci sono rischi di un accresciuto precariato e di subire maggiore flessibilità. La ministra del Lavoro, Muriel Pénicaud, parla di «scommessa» a favore del «dialogo» e della «fiducia», per dare alle imprese «più flessibilità per adattarsi». Per Macron è un momento-chiave, dopo il crollo nei sondaggi e il clima di disillusione che sta dilagando a cento giorni dall’elezione.

Il testo definitivo sarà approvato in Consiglio dei ministri il 22 settembre prossimo, per poi passare in parlamento con l’iter accelerato, senza intoppi vista la maggioranza di cui gode Macron. Il presidente ha previsto che la riforma impiegherà «tra i 18 e i 24 mesi» per dare frutti. Il metodo adottato – segreto dei contenuti della riforma fino a ieri, una cinquantina di incontri con le parti sociali durante l’estate – ha ottenuto il risultato voluto dal governo e da Macron: i sindacati sono ormai profondamente divisi (almeno per quello che riguarda i dirigenti, per la base è un altro discorso). La Cgt ha confermato la manifestazione di protesta per il 12 settembre. «Tutti i timori della Cgt sono confermati, ormai tutto è possibile, è la fine del contratto di lavoro» con una «Loi Travail XXL». Ma alla manifestazione del 12 non ci sarà Force ouvrière, che aveva partecipato alla dozzina di cortei contro la Loi Travail della presidenza Hollande: il segretario Jean-Claude Mailly ha parlato ieri di «punti che vanno nella buona direzione e altri da rivedere» e ha rivendicato le modifiche a vantaggio dei lavoratori ottenute nella fase di concertazione (è questa la principale differenza di metodo con la legge El Khomri, imposta dal governo mentre non era stata annunciata dal programma elettorale di Hollande). La Cfdt, che già non aveva partecipato alle manifestazioni contro la legge El Khomri, si è detta «delusa», ma per il momento non intende scendere in piazza, perché ritiene di essere riuscita a limitare i danni. Per il segretario, Laurent Berger, «il governo ha perso il treno per la modernizzazione delle relazioni sociali».

ALLA DIVISIONE SINDACALE si aggiunge la confusione sul piano politico. Il 23 settembre, France Insoumise organizza una manifestazione contro l’«aggressione al Codice del lavoro», «nuova tappa della regressione» e contro Macron, undici giorni dopo la giornata della Cgt. Il segretario della Cgt, Philippe Martinez, non sarà presente. Jean-Luc Mélenchon, che intende rappresentare l’opposizione a Macron, va avanti da solo e non sarà presente neppure alla Fête de l’Humanité del Pcf, a conferma della tensione crescente a sinistra. Il Ps è in imbarazzo, dopo aver fatto passare la legge El Khomri, di cui la riforma attuale è una continuazione.

IL MEDEF, la Confindustria d’Oltralpe, parla di «testo importante per le imprese». Il padronato, certamente, ottiene molte soddisfazioni: un tetto agli indennizzi in caso di licenziamento, per avere meno incertezza (ma i sindacati ottengono in contropartita dei minimi e un aumento del 25% per tutti i casi); per le multinazionali, possibilità di licenziare per ragioni economiche tenendo conto solo dei risultati in Francia (e non nel mondo); trattative per categoria sulla durata e numero dei contratti a termine; contratti di missione non solo più nell’edilizia («contratti kleenex» per i sindacati); per la piccola e media impresa possibilità di negoziare con delegati non iscritti al sindacato (fino a 50 dipendenti, il padronato e la destra chiedevano fino a 300); semplificazione della rappresentanza sindacale nelle imprese. I sindacati sono riusciti a conservare i contratti di categoria.