Una brusca accelerazione, imprevista e tutta da interpretare. Il governo ieri ha chiesto alla conferenza dei capigruppo della camera di mettere in calendario la legge di revisione costituzionale, appena approvata dal senato (tre giorni fa), in questo stesso mese. Non in commissione, già in aula. L’obiettivo è quello di poter fare affidamento sui tempi contingentati il mese prossimo. E chiudere definitivamente la prima lettura della riforma entro novembre.
La ministra delle riforme Maria Elena Boschi si è presentata con la richiesta ieri pomeriggio alla camera, la conferenza dei capigruppo si è trasformata in una rissa – «abbiamo avuto una capigruppo accesa», è corsa a riferire Boschi a Porta a Porta -, la presidente Laura Boldrini ha dovuto chiudere senza un’intesa. Nella conferenza che stabilisce il calendario è possibile arrivare a una decisione a maggioranza – in quel caso il calendario va poi messo ai voti dell’aula, sempre a maggioranza – oppure è possibile che la presidente di fronte a una trattativa bloccata prenda l’iniziativa, in genere con una mediazione. Così dovrebbe andare anche oggi, quando la capigruppo è riconvocata alle 10.30 per ascoltare le decisioni di Boldrini. Ma la mediazione stavolta è difficile.

Il Pd non si accontenta che la riforma venga immediatamente messa all’ordine del giorno della prima commissione della camera, vuole che sia fissata a ottobre anche una data per l’approdo in aula. La motivazione è semplice: il regolamento di Montecitorio consente di ridurre al minimo i tempi di discussione solo se il provvedimento è stato incardinato in aula nel mese precedente, anche solo con l’illustrazione generale del testo da parte del relatore.
Dopo il passaggio al senato, alla camera secondo la regola che blinda gli articoli e i commi già votati da entrambi i lati del parlamento in un testo identico, dovranno essere discussi solo sei articoli (per sette commi). Il tempo di discussione in commissione potrebbe essere brevissimo. In ogni caso il Pd ha già chiesto e ottenuto nei precedenti passaggi di saltare la commissione e arrivare subito in aula. Questa volta si tratterebbe di un passaggio al cronometro. Le opposizioni chiedono che la riforma venga votata a gennaio – ci sarebbe tempo per altri provvedimenti, primo fra tutti le unioni civili sulle quali invece Renzi rallenta – la mediazione più ovvia tra novembre e gennaio stavolta è difficilmente percorribile. Perché a dicembre la camera sarà in sessione di bilancio per l’ultimo voto sulla legge di stabilità. A meno di non fare gli straordinari a natale.
Perché per il governo questi due mesi sono così importanti? Renzi ha scritto in un documento ufficiale, il programma delle riforme allegato al Def, che la partita sul bicameralismo sarebbe stata chiusa nel 2015. Non andrà così perché la procedura dell’articolo 138 prevede tre mesi di sospensione (dunque nel caso di voto a novembre, si arriverebbe a febbraio) e dopo sette mesi per il referendum confermativo (settembre). Due mesi in più possono essere troppi perché a dicembre non si tengono facilmente referendum e nemmeno eventuali elezioni amministrative abbinate (Roma?). E se non più nel 2015, Renzi deve assolutamente chiudere nel 2016.