Per Serge Aimé Coulibaly, danzatore e coreografo del Burkina Faso, classe 1972, la messa in scena è un mezzo per riflettere sull’Africa, le sue storie, le sue speranze. Temi impegnati trasformati nel ritmo battente dei corpi, artefici di una danza intrecciata al teatro e alla musica, in cui il racconto più che narrazione è pulsazione di movimento. Alla danza Coulibaly arriva tardi, ma la sua presenza scenica mordente lo fa presto lavorare in Europa con artisti come Sidi Larbi Cherkaoui e Alain Platel. La sua compagnia, Faso Dance Theatre, nasce nel 2002.

Kalakuta Republik, coproduzione del festival Torinodanza ispirata al musicista e attivista nigeriano Fela Kuti, è l’ultima creazione di Coulibaly, presentata in prima nazionale alle Fonderie Limone di Moncalieri. Kalakuta Republik è il nome che Fela Kuti diede alla propria comune a Lagos, utopica «casa» indipendente armata dalla forza di denuncia della musica. Lo spettacolo è diviso in due parti in cui il graffio rivoluzionario e trascinatore di Kuti da motore sottotraccia dell’azione scenica (prima parte), diventa dichiarazione manifesta di libertà contro qualsiasi sopraffazione politica (seconda parte).

In scena sono in sette, Coulibaly compreso, tutti neri, meno una donna bianca. Danzano con alle spalle due muri/schermo su cui scorrono proiezioni di bombardamenti in Siria, di case diroccate e violate, di lente e popolose migrazioni. La prima parte dello spettacolo fatica però a decollare. Le canzoni di Fela sono potenti, le proiezioni emozionanti, eppure la danza e la coreografia, che della musica colgono il battito, sembrano non portarci più in là di un’aderenza al ritmo di superficie, più didascalica che drammaturgicamente narrativa.

Questa prima parte però è solo un preambolo (troppo lungo) della seconda: you always need a poet. È qui che il grido di Fela trasmette ai corpi la voce della libertà: ci si interroga danzando e cantando sul perché «abbiamo paura di batterci per la libertà, per l’amore, per la giustizia», perché «abbiamo sempre ragione di batterci». La scena è lo spazio fumoso dello Shrine, il famoso nighclub di Lagos del re dell’afrobeat Fela, la danza, le voci diventano ora parlanti e lo spettacolo culmina con le donne erette sulle spalle degli uomini sulla gradinata delle Fonderie. È un’immagine di riscatto, la più forte dello spettacolo: una creazione visivamente ricca, con pregnanti interpreti, che meriterebbe un approfondimento nella scrittura.