Non sappiamo da dove venga, né in quale luogo sia approdato, ma percepiamo immediatamente il suo spaesamento. Che sia nostro coevo non v’è dubbio come pure che appartenga a quella parte di umanità inquieta e ricercante un altro modo di stare (e di essere) sulla Terra. Pacato e sorridente, lo strano personaggio, un po’ beckettiano cui dà voce e corpo un inedito Francesco Mandelli, ci racconta le fasi di arrivo in aeroporto per poi lanciarsi in una serie di aneddoti, riflessioni e confronti sulla vita dov’era prima e quella in cui si è immerso ora. Una meditazione ad alta voce sull’esistenza umana, quasi una conferenza sulla condizione di esiliati permanenti, questo Proprietà e atto (Title and deed) scritto dallo statunitense, classe 1965, Will Eno e diretto da Leonardo Lidi, regista che si è fatto notare alla Biennale College under 30, nel 2017. E nel rapido passaggio romano, al Teatro Biblioteca Quarticciolo, la relazione che l’autore (finalista al Pulitzer con un altro suo monologo, Thom Pain) cerca continuamente di stabilire e mantenere con gli spettatori è resa ancora più stretta dalla vicinanza tra palco e platea. Piazzato al centro della scena, dentro una sorta di scatola di legno, Mandelli cerca gli occhi nel semibuio della sala e sembra porre direttamente le sue domande alle soggettività presenti. Per 65 minuti, l’attore monologante pervade il personaggio di una melanconia quasi divertita. Seduto, con una gestualità minima ma la testa e lo sguardo mobilissimi da oratore verace, rileva quanto le similitudini tra i luoghi siano più abbondanti delle differenze, in questo nostro mondo. Ovunque si stia restiamo attanagliati dalla solitudine, nel desolante vuoto che ci circonda. E il criptico titolo si schiude in tutta la sua ironia.