Accendo la televisione. Le riprese degli inviati nei teatri di guerra lasciano vedere campi devastati, brulli in una primavera ghiaccia. Nelle città, sotto il fuoco dei bombardamenti, mostrano palazzi che crollano. Il fumo nero degli incendi sale al cielo. Mezzi blindati e automobili sono lamiere contorte. Scorrono i volti degli scampati alle quotidiane distruzioni. Il terrore si è posato sui loro sguardi in un abbaglio che resta. Increduli si aggirano tra le rovine, attoniti davanti ai corpi dei morti che giacciono ancora insepolti a terra. L’incerto passo di madri che stringono al seno i figli con gesto di raccapriccio, senza sapere dove andare.

Raggelati gli uomini: quanto è appena accaduto loro, essi non sono in condizione di comprendere. Nello stordimento incredulo ogni giudizio, ogni racconto si sgretola in frasi rotte, muoiono anch’esse prima d’essere compiutamente pronunciate. La guerra, quando «la ragione viene a scontrarsi con i sentimenti» dice Erasmo ne Il lamento della Pace, e «gli affetti si scontrano con gli affetti». La guerra che penetra dentro e dentro scava, dilania ciascuno nell’animo: «idem homo secum pugnat».

Accendiamo i nostri televisori e assistiamo ai disastri della guerra. In diretta, si dice. In diretta, cioè faccia a faccia, senza mediazione alcuna, la guerra nella sua pura realtà, ci dicono. Eccola allora la guerra in televisione, sotto i nostri occhi, a che ci si ritrovi noi pure in mezzo al mitragliamento, ecco udiamo il crepitare repentino e ripetuto dei colpi che, vediamo, abbattono sul lungomare di Mariupol un uomo in cerca di riparo oltre l’angolo d’una via laterale, e non ce l’ha fatta.

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La realtà della guerra è documentata da un mezzo, dunque la diretta è una mediazione che mette capo non alla realtà della guerra, ma a una rappresentazione della realtà della guerra. La diretta televisiva è taglio, montaggio, combinazione: costruzione.

È una raffigurazione della guerra né più né meno di Guernica di Picasso o di Los desastres de la guerra di Francisco Goya. La guerra in diretta e della diretta chiede dunque non una ingenua e passiva recezione, ma la medesima rigorosa riflessione e l’interpretazione critica, l’impegno ad un accrescimento di consapevolezza al quale ci sfidano Guernica e le ottantadue incisioni dei Desastres. Los desastres, Guernica, la diretta. Dico la guerra raffigurata.

F.T. Marinetti pubblica Zang Tumb Tumb nel 1914. Intende rappresentare l’assedio della città turca di Adrianopoli e la sua capitolazione, il 3 dicembre del 1912, sotto le armi dei bulgari. Ho davanti una pagina dove le lettere M U T O H D R A L sono altrettante schegge d’una bomba esplosa, fermate dal poeta sulla pagina bianca, a mezz’aria, grazie alla valentia tipografica di Cesare Cavanna. Quale terribile figura della guerra!
La guerra in essere è distruzione di luoghi e di opere, di corpi e di sentimenti: amicizia, amore, tenerezza, affezione. La guerra è distruzione di pensiero, di ragione, di intelligenza, di riflessione. Con essa deflagrano la logica e il giudizio.

La guerra in essere sloga e disarticola il linguaggio, lo sconnette mentre iberna la parola, ne uccide, di ciascuna, le molteplici verità. Nei termini della guerra si scompone in maniera casuale la sintassi delle proposizioni formulate. Marinetti raffigura una detonazione abnorme nel bianco silenzio della pagina. Le parole prima restano in sospensione e, sciolte da ogni vincolo di senso, ristagnano inerti ciascuna a sé.

E poi, velocemente, si decompongono fino a che ogni singola lettera, pronunciata o scritta, affiora in superfice, quasi spina lentamente espulsa, e si colloca per proprio conto. Sospinge così la guerra ad alfabeti insensati e incongrui. Lettere maiuscole e lettere minuscole si frangono sparse, abbattute dalle raffiche di venti contrari: M U T O H D R A L.