Esiste una correlazione fra l’elevata incidenza e mortalità tumorale nella Terra dei fuochi e la presenza di sostanze tossiche dovute allo sversamento illegale dei rifiuti? Se si andasse alla ricerca dell’attestazione scientifica di un fatto empiricamente così palese, non si troverebbe, e non perché manca l’evidenza, ma perché mancano i dati. Almeno fino a ieri.

Alla Camera dei deputati sono stati presentati i risultati di uno studio pilota che ha messo in evidenza un livello del tutto fuori norma dei metalli tossici nel sangue di malati oncologici residenti nella Terra dei Fuochi . Lo studio è realizzato nell’ambito del progetto «Veritas: Costruire Comunità in Terra dei Fuochi», frutto di una collaborazione fra scienza e società civile, e dove la politica istituzionale è rimasta a guardare. Si tratta di una svista diffusa, soprattutto nel nostro paese. Il territorio italiano è disseminato di emergenze ambientali con ricadute gravi sulla salute della popolazione. Taranto, Porto Marghera, Gela, con le relative vicende giudiziarie sono i casi che vengono subito alla mente, ma ve ne sono molti altri che possono essere riscontrati a partire dalle 57 (poi ridotte a 39) vaste aree contaminate riconosciute come Sin (Siti di Interesse Nazionale per le bonifiche) a partire dal 1992 dal Ministero dell’Ambiente.

All’interno di tali zone le analisi epidemiologiche come il RapportoSentieri (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità, hanno mostrato risultati preoccupanti per il maggior tasso di mortalità precoce e di incidenza tumorale riconducibili all’esposizione a inquinanti. «Riconducibili» appunto, perché incredibilmente studi scientifici come quelli realizzati attraverso «Veritas», non ci sono.

Dati che servono per avviare una causa, indirizzare ulteriori studi, predisporre degli interventi. Una lacuna che spesso diventa l’alibi delle istituzioni pubbliche e dei privati per sfuggire alle proprie responsabilità e anche da una verità storica: quella che l’imperativo sviluppista di matrice industriale è stato portato avanti in maniera miope ed ha lasciato sul campo morti e macerie.

Nel caso della terra dei Fuochi poi, a questo si aggiunge l’intervento della criminalità organizzata che ha agito in collusione con gli imprenditori del Nord godendo spesso del favore e dell’appoggio di parti deviate delle istituzioni a tutti i livelli, dando luogo a sversamenti nei territori agricoli, discariche illegali, combustioni incontrollate. Una caso di devastazione ambientale conosciuto in tutto il mondo e per quale la rivista scientifica Lancet Oncology all’interno di uno studio sulla mortalità per cancro ha coniato la definizione «triangolo della morte».

E sempre una rivista scientifica «The Journal of cellular physiology» ha pubblicato i dati dello studio pilota di Veritas. La parte scientifica del progetto è stata a cura dello Sbarro Health Research Organization diretto dal professor Antonio Giordano, che ha analizzato i dati risultanti dai test effettuati presso il dipartimento di Farmacia dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Dati che hanno evidenziato l’alta concentrazione di metalli nel sangue di malati provenienti da municipalità come Gugliano, particolarmente interessata da discariche e sversamenti illegali e che spingono a ulteriori valutazioni della possibile correlazione fra l’esposizione ai rifiuti tossici e il rischio di cancro.

Una conferma della fondatezza dell’allarme lanciato dai comitati territoriali da tempo attivi nel denunciare il «biocidio» in corso sul loro ambiente e sulle loro vite e che sono stati fra gli attori di questo progetto, che oltre al monitoraggio ha contemplato anche attività di rafforzamento comunitario con formazione e training intensivi, sostegno ed accompagnamento delle comunità colpite, e una campagna di comunicazione. Fondamentale sono stati il coordinamento e la promozione da parte dell’Associazione A Sud Onlus e Rete di cittadinanza e comunità, che hanno permesso un livello di attivazione popolare capillare ed eterogeneo.

Una «Citizen Science» con cui si è dimostrato, nonostante non si disponesse dei mezzi dell’apparato statale, che le comunità indipendenti possono condurre lavori di ricerca importanti, riproducibili e fare da stimolo alle istituzioni.