Anche quando si trovava in carcere, il boss Matteo Alampi continuava a gestire gli affari delle imprese del settore dei rifiuti “Edil Primavera” e “Rosato Sud”, attive in Calabria nella gestione delle discariche e dei servizi ecologici. Nonostante queste due aziende fossero sotto sequestro preventivo già dal 2007. Le manette sono così scattate anche per Rosario Spinella, l’amministratore giudiziario delle due aziende nominato dal Tribunale.

Il professionista reggino è accusato di aver fatto partecipare il clan a tutte le scelte strategiche delle società. Attraverso la sovrafatturazione delle prestazioni, Spinella avrebbe inoltre costituito un fondo nero al quale gli ‘ndranghetisti potevano attingere per gestire gli affari di “famiglia”. Arrestati anche i due storici avvocati del boss, Giulia Dieni e Giuseppe Putortì, accusati di aver fatto da staffette e portaordini del capocosca, approfittando della possibilità di avere con lui colloqui in carcere (intercettati dagli inquirenti). L’inchiesta di ieri, durata due anni e coordinata dal procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, assieme ai pm Giuseppe Lombardo e Sara Ombra, ha portato i carabinieri del Ros all’arresto tra Calabria, Veneto e Francia, di 24 persone, accusate di associazione mafiosa, turbativa d’asta, intestazione fittizia di beni e sottrazione di cose sottoposte a sequestro. Aggravati dalle finalità mafiose. Oltre al sequestro di beni aziendali e quote societarie per un valore complessivo di 18 milioni di euro. Dietro le sbarre è così tornato anche lo stesso Matteo Alampi, catturato assieme alla moglie mentre si trovava a Villefranche Sur Mer (Costa Azzurra), dove si era rifugiato appena uscito dal carcere nel marzo scorso, sottraendosi alla notifica della sorveglianza speciale.

Ribattezzato dagli investigatori un «imprenditore ‘ndranghetista», è ritenuto la mente economica dell’organizzazione, già capeggiata dal padre Giovanni Alampi, arrestato nel 2010 nel corso dell’operazione “Il Crimine”, che ne aveva delineato il ruolo di capo del «locale» di Trunca, attivo nell’omonima frazione del capoluogo reggino. Questa operazione è la naturale prosecuzione dell’inchiesta “Rifiuti spa” del 2006, dalla quale era emersa l’esistenza di un accordo trasversale tra le cosche Libri e Condello finalizzato alla ripartizione degli ingenti profitti derivanti dalla gestione illecita delle discariche calabresi. Invasi spesso «non a norma», in quanto non adeguatamente impermeabilizzati né dotati di sistemi di captazione del biogas.

Inoltre, come denunciava l’ultima relazione della commissione parlamentare d’inchiesta (febbraio 2013), nonostante 11 commissari governativi nominati dal lontano 1997 e milioni di euro statali spesi, tuttora vi è «carenza di discariche pubbliche», poiché «tutto il sistema è rimasto affidato ai privati», mancano gli impianti di compostaggio (l’unico, a Vibo Valentia, è ad esclusivo servizio dell’azienda Callipo) e «la raccolta differenziata del tutto inesistente sul 90% del territorio calabrese» è ferma al 13,8% (dati Ispra 2013), al penultimo posto tra le regioni italiane (peggio fa solo la Sicilia), nonostante l’obbligo di legge a raggiungere il 65% entro fine 2012.

Le indagini hanno riguardato anche i lavori di bonifica e la successiva riapertura della discarica di Calanna (Rc). Questo appalto, secondo l’accusa, sarebbe stato ottenuto grazie alla compiacenza dell’ex sindaco Luigi Catalano e del funzionario comunale Salvatore Laboccetta, che avrebbero fatto redigere un bando di gara con parametri concordati con l’impresa mafiosa.