Lavatrice, frigorifero, televisione, computer, telefonino. La lista potrebbe essere ancora più lunga se contassimo tutti gli elettrodomestici che popolano le nostre case. Oggetti elettronici di cui non possiamo più fare a meno. Se da un lato le nostre vite si riempiono di strumenti che ci facilitano il quotidiano, dall’altro aumentano gli scarti, i rifiuti che produciamo. Si tratta dei Raee, i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche.

Ieri a Roma a Palazzo Rospigliosi è stato presentato il libro-rapporto di Marco Gisotti «L’era dei Raee – 10 anni di Ecodom», un bilancio in occasione dei dieci anni di lavoro del Consorzio italiano per il recupero e riciclaggio degli elettrodomestici. Dal 2008, quando è diventato operativo il consorzio nato nel 2004, Ecodom ha smaltito più di 760 mila tonnellate di rifiuti tecnologici. Primo tra i sistemi collettivi nazionali di raccolta dei Raee, per quantità riciclate e per quota di mercato, Ecodom in questo decennio è riuscito a recuperare 668 mila tonnellate di materie prime, quasi il 90%.

Sono più di 4.000 i centri di raccolta sparsi per l’Italia, gestiti da Ecodom. I rifiuti vengono stoccati in ambiente protetto prima del processo di smontaggio. Vengono messe in sicurezza le componenti pericolose e più dannose per l’ambiente. Nei primi dieci anni di lavoro del consorzio sono state recuperate 460 mila tonnellate di ferro, 82 mila di plastica, 16 mila di alluminio e 15mila di rame.

«Rame, ferro e alluminio trovano facilmente reimpiego perché sono materie prime semplici», spiega Giorgio Arienti, direttore generale del consorzio. «L’unico ostacolo che incontriamo sono i fenomeni speculativi sui prezzi delle materie prime», sottolinea: «Se i cinesi decidono che il ferro delle miniere è in svendita, l’industria non comprerà il ferro riciclato che costa di più».

Quelli forniti da Ecodom sono numeri importanti, che mostrano un incremento della raccolta dei Raee in Italia. Eppure è ancora lunga la strada per raggiungere gli standard richiesti dall’Unione europea.
Ogni anno in Italia si raccolgono e riciclano circa 5 kg di rifiuti elettronici per abitante. Un dato inferiore a quello di molti paesi europei come Francia, Irlanda, Belgio e Austria che raccolgono annualmente 8 kg. I più virtuosi sono Svizzera e Norvegia che arrivano a 15 kg pro capite. La differenza potrebbe essere in parte legata ai consumi, quindi a una quantità inferiore di prodotti venduti. Eppure anche calcolando il «tasso di ritorno», ovvero il rapporto tra gli elettrodomestici venduti e quelli riciclati, l’Italia risulta molto al di sotto degli standard europei. Secondo i dati diffusi da Ecodom nel 2017 il «tasso di ritorno» nel nostro Paese è stato del 36%, ben lontano dall’obiettivo europeo del 65% entro il 2019. «Mancano più di 3 kg a persona per raggiungere il target», spiega Arienti.

Ci sono ancora molti ostacoli che impediscono all’Italia di aumentare la raccolta dei rifiuti tecnologici. Sono la scarsa consapevolezza, la limitata diffusione di servizi efficaci di raccolta e l’esistenza di un mercato parallelo al riciclo. Secondo il direttore generele di Ecodom la consapevolezza dei cittadini sta crescendo ma non è ancora al massimo: «Sono gli oggetti elettronici più piccoli che finiscono ancora nel sacco nero».

Non è tutta colpa del cittadino, che deve essere messo in condizione di esercitare comportamenti virtuosi: «Bisogna potenziare i servizi di raccolta di competenza dei comuni, dei distributori e dei negozianti». Un ostacolo ulteriore al riciclo dei Raee è legato ad un’economia nascosta: «Esistono soggetti che offrono servizi come svuotare case e cantine, prelevano i pezzi che possono essere rivenduti ma non garantiscono il trattamento ecologico necessario».

Secondo i calcoli realizzati da Ecodom, il recupero di questi rifiuti ha permesso di risparmiare 880 milioni di Kwh di energia elettrica, la stessa che sarebbe servita ad estrarre nuovamente le materie prime dalle miniere. Il riciclo degli elettrodomestici avrebbe ricadute importanti anche sulla riduzione della Co2. Basti pensare, che secondo il consorzio, si sarebbe evitata l’emissione in atmosfera di 7 milioni di tonnellate di anidride carbonica.