«Non farò il patteggiamento, nemmeno per un giorno, sarebbe come rinunciare ai miei ideali, io rifarei tutto quello che ho fatto» dice Mimmo Lucano a Bologna di fronte a una sala piena di amici, compagni, vecchi militanti e giovani sostenitori. All’evento «Eccesso di solidarietà» organizzato da Good Land e dalle Cucine Popolari, con il sostegno di Famiglie Accoglienti e di molte altre associazioni è intervenuta anche la vicepresidente della regione Emilia-Romagna Elly Schlein mentre il sindaco di Bologna Matteo Lepore ha mandato un appassionato messaggio all’inventore del modello Riace di accoglienza dei migranti.

LE COINCIDENZE sono coincidenze ma talvolta rivelano più di quanto si pensi: ieri 18 dicembre era la giornata internazionale dei diritti dei migranti, quei diritti conculcati e ignorati al confine tra Polonia e Bielorussia, come lungo la rotta balcanica, come in Libia o nelle acque del Mediterraneo. Ed è per aver preso sul serio i diritti dei migranti, per averli trattati come persone, anziché come «invasori», che Mimmo Lucano è stato condannato a oltre 13 anni di carcere in una sentenza le cui motivazioni, ben 904 pagine, sono state pubblicate l’altroieri. Non solo: pochi giorni fa si è dovuto dimettere il prefetto Michele Di Bari, il primo a sollevare dubbi sul  sindaco di Riace quando era in servizio a Reggio Calabria e per questo promosso al ministero da Matteo Salvini quando era ministro degli Interni.
E perché Di Bari si è dovuto dimettere? Perché la moglie Rosaria Bisceglia è amministratrice di una ditta agricola in Puglia che utilizzava braccianti africani reclutati attraverso caporali pagandoli 5,80 euro l’ora. I migranti, se non muoiono durante il viaggio, devono lavorare come schiavi, non contribuire alla rinascita di un paese in via di abbandono com’era Riace quando Mimmo Lucano diventò sindaco.

«TUTTO È INIZIATO con una pec che ho mandato io stesso al prefetto di Reggio Calabria, chiedendo un’ispezione perché temevo ci potesse essere qualcuno che approfittava della situazione» ha raccontato Mimmo Lucano alla platea bolognese, aggiungendo che aveva immediatamente notato un atteggiamento ostile da parte degli ispettori, «come se qualcuno dall’alto avesse ricevuto l’ordine di dimenticare le cose buone che avevamo fatto e di infierire». Non a caso una delle relazioni arriva prima al Giornale berlusconiano che al Comune di Riace ed è Michele Di Bari, in quanto prefetto di Reggio Calabria, a suggerire alla magistratura calabrese di avviare le indagini per i presunti illeciti amministrativi e penali commessi nell’ambito del «modello Riace».

MIMMO LUCANO ha illustrato ieri agli amici bolognesi il contesto da cui sono nate le imputazioni e poi il processo: Riace si è riempita di migranti perché erano le prefetture che gli mandavano i profughi quando non sapevano dove altro metterli. E’ stato condannato per peculato, con l’aggravante dell’associazione a delinquere, in relazione all’uso di fondi statali ed europei per l’accoglienza, non per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: da quell’accusa è stato assolto.

IL PECULATO, la sottrazione di denaro pubblico per arricchimento personale, è un reato odioso ma Lucano non si è arricchito, al contrario: i fondi sono stati usati per i migranti, certo in modo non sempre corrispondente alle regole della contabilità pubblica, ma creativo ed efficace. Per esempio i 35 euro al giorno per l’accoglienza in Calabria erano più che sufficienti per i bisogni immediati degli ospiti e Mimmo giustamente pensò di usarli per avviare programmi che creassero lavoro, per i migranti e per i cittadini di Riace, come l’acquisto di un frantoio per le olive. Questo è stato uno dei capisaldi dell’accusa, che pur ha riconosciuto, attraverso la testimonianza in aula di uno degli investigatori, che Lucano non aveva lucrato un centesimo e di fatto è nullatenente. Il frantoio da anni rimane sotto sequestro e, per ora, sono risultati vani gli sforzi di agricoltori amici di riavviarlo proponendo di donare 130 quintali di olive biologiche da trasformare in olio.
La battaglia ideale, politica e giudiziaria di Mimmo Lucano, salutato da una vera e propria ovazione prima di lasciare la sala, continua.