Il linguaggio astratto è quello prediletto dall’artista olandese Riet Wijnen, la cui personale milanese a cura di Kunstverein Milano (fino al 19 presso Assab One) s’intitola non a caso Sixteen Conversation on Abstraction (table/table). Una mostra densa che nasce da un lungo lavoro di ricerca la cui complessità non ostacola il godimento delle opere esteticamente attraenti e capaci di incuriosire. L’artista non si limita a utilizzare semplicemente il vocabolario visivo dell’astrazione all’interno delle proprie installazioni, ma dal 2015 indaga il concetto anche attraverso la ricerca storica e la sperimentazione teorica.

WIJNEN HA SCELTO di scrivere una serie di conversazioni immaginarie sul tema (riportate in pubblicazioni autoprodotte) all’interno delle quali intervengono, coerentemente con le loro convinzioni, varie personalità reali (individui o gruppi) scelte tra epoche, luoghi e discipline diverse (tra loro, il filosofo Thomas Metzinger o il gruppo dell’associazione Abstraction Création). Queste conversazioni vengono inoltre rielaborate visivamente per essere trasposte in sculture-oggetto attraverso la traduzione della comunicazione verbale in un codice visivo astratto che, nella sua elaborazione finale, si sviluppa all’interno di un grande diagramma tridimensionale, cioè l’opera fulcro di questa personale.
Wijnen realizza così un’installazione composta da 16 profili di tavoli posizionati in modo concentrico uno dentro l’altro, a simboleggiare ognuno una delle 16 conversazioni sull’astrazione che lei stessa si è prefissata di realizzare nel corso di questo progetto (oggi arrivato alla sesta conversazione). Sul diagramma quadrangolare che questi elementi compongono, l’artista registra, attraverso dei marcatori di colori diversi, ciò che è riportato all’interno delle conversazioni da lei scritte in forma testuale. Ogni cromia simboleggia per esempio le parole chiave ricorrenti, le personalità coinvolte, i luoghi menzionati ecc. creando così un codice visivo astratto del tutto personale e affascinante.

IN TUTTA LA MOSTRA l’oggetto tavolo/scultura risulta fondante, lo si capisce bene osservando le piccole o grandi tavole (quasi appunti preliminari) su cui l’artista è intervenuta scrivendo e astraendo, ma anche i 16 tavoli pieni impilati uno nell’altro a formare una sorta di contrappunto fisico e visivo (dato dal nero intenso e dalla solida fisicità) rispetto all’opera centrale.
Questa profonda analisi sull’idea di astrazione ha però anche inevitabilmente condotto Riet Wijnen nel territorio dell’oblio. Molte sono infatti le astrattiste ingiustamente dimenticate, come Marlow Moss e Grace Crowley di cui Wijnen ricostruisce le storie nelle sue conversazioni (ma anche tutte quelle che ha recentemente ricordato la mostra Elles Font l’Abstraction, al Pompidou nel 2021).

È QUESTA DISPARITÀ di trattamento legato alle questioni di genere che ha portato Wijnen dall’astrazione (e dalle astrattiste sepolte) fino all’attivista, filosofa e femminista Silvia Federici (che è anche tra le protagoniste delle conversazioni) e alle sue rivendicazioni sul salario per il lavoro domestico (Wages for Housework) degli anni 70.
In occasione della mostra milanese, Riet Wijnen ha rielaborato una porzione di un’altra opera, rendendola qui luogo privilegiato per la riflessione sulle lotte femministe. Si tratta di un lavoro inizialmente prodotto e installato per lo spazio pubblico e composto da un tavolo con seduta e una panchina. Questi sono stati rivisitati per ospitare e permettere di accedere all’archivio della New York Wages for Hosework Campaign che proprio Silvia Federici ha donato all’istituzione londinese MayDay Rooms e che è straordinariamente arrivato in Italia per quest’installazione.
Quest’ultima è anche il luogo dove è possibile consultare un’anteprima del libro a cui l’artista sta lavorando con Kunstverein e che uscirà nell’autunno 2022 come conseguenza di questa mostra. La pubblicazione, destinata ai bambini, sarà infatti legata alla Campagna per il Salario al Lavoro Domestico e alle questioni di genere contemporanee.