Le riunioni dei rappresentanti dei governi europei che si tengono in questi giorni, dopo quella di lunedì scorso, danno l’esatta rappresentazione di un’Unione europea politicamente inesistente, cinica e incapace di dare risposte concrete alla crisi umanitaria che bussa alle nostre porte. Si continua a discutere solo della redistribuzione di profughi già presenti nei tre Paesi di primo ingresso (Grecia, Italia e Ungheria). Non si è nemmeno fatto cenno alle due questioni che potrebbero rappresentare una risposta all’altezza della tragedia che abbiamo di fronte.
La principale è l’introduzione di una via d’acceso legale in Europa, cioè l’apertura di canali umanitari, con la consegna di lasciapassare europei nelle regioni di transito. Senza una simile misura continueranno i naufragi, le morti e le violenze alle frontiere. Solo così si fermano i trafficanti, sottraendogli il business su cui lucrano. I dati dell’OIM sugli ingressi in Europa aggiornati al 22 settembre dicono che, tra gli oltre 480mila arrivi, quasi il 90% provengono da Paesi dove ci sono guerre e persecuzioni internazionalmente riconosciute. In particolare, i siriani rappresentano circa la metà di questi arrivi. Nessuno di loro, siriano, eritreo o afgano che sia avrebbe potuto fuggire se si fosse rivolto a uno dei governi europei. Oggi l’unica opportunità di fuga è purtroppo offerta dai trafficanti.
La seconda questione riguarda l’applicazione della Direttiva 55/2001 sui flussi straordinari nell’Ue e sull’attivazione della protezione temporanea. Che si sia di fronte a una situazione straordinaria è innegabile e quindi l’attivazione della Direttiva è dovuta e urgente. Questo consentirebbe di introdurre una pianificazione condivisa, risorse straordinarie e un titolo di soggiorno europeo. Di fatto permetterebbe di superare i problemi creati dal regolamento Dublino.
Ma in questi vertici europei si parla invece dell’apertura degli hot spot, di cui 5 in Italia, che rappresentano la contropartita alla riallocazione di 24 mila profughi, già presenti nel Paese. Una contropartita che si rivelerà controproducente. Il governo greco e quello italiano, a cui viene promessa la riallocazione di 40mila persone in due anni, si dovranno impegnare, dopo aver accettato una sorta di commissariamento europeo, a fotosegnalare tutti coloro che arrivano. Ovviamente questo porterà a un aumento delle domande d’asilo.
Inoltre, la divisione tra chi avrebbe diritto a restare e chi no, non può essere fatta al di fuori della legge. Per stabilire chi ha diritto all’asilo la legge prevede che si valutino caso per caso le domande e che a farlo siano le Commissioni competenti. Non un funzionario qualsiasi che, in base a non si sa quali criteri, decida chi ha diritto a restare e chi va espulso. Del tutto arbitraria è anche la previsione di inviare ai centri d’accoglienza, considerandoli richiedenti asilo, coloro che si fanno fotosegnalare e respingere, inviandoli ai CIE e prima ancora negli hub chiusi collocati al sud, coloro che rifiutano l’identificazione. L’arbitrarietà nella procedura (non è prevista in nessun caso la presenza della magistratura), e l’esperienza di questi anni, fa presagire una violazione dei diritti delle persone in questi luoghi, nonché il ricorso alla violenza, nel caso rifiutino di farsi identificare. Gli hot spot vanno quindi semplicemente rifiutati. E noi faremo di tutto per impedirne l’apertura, ricorrendo anche alla giustizia italiana ed europea.
Alla preoccupazione per gli hot spot, si aggiunge quella per il rafforzamento delle azioni volte a impedire gli arrivi e a favorire le espulsioni. Misure sulle quali i governi sembrano trovare l’accordo con grande facilità, a differenza di quelle che riguardano il rispetto dei diritti umani e del diritto d’asilo. Si tratta di azioni che vanno tutte nella stessa direzione: esternalizzare le frontiere, scaricare su altri le nostre responsabilità, rendere ancora più difficile raggiungere l’ Europa, a tutto vantaggio dei trafficanti.
Ci auguriamo che l’opinione pubblica percepisca la gravità di queste decisioni e si mobiliti per respingerle al mittente.
Dopo le marce dello scorso 11 settembre e le mobilitazioni europee del 12 e di questi ultimi giorni davanti alle sedi diplomatiche ungheresi, dovremo pensare a tornare in piazza, magari con un grande appuntamento europeo, per fermare decisioni che possono solo produrre altre tragedie.
* vicepresidente
nazionale Arci