«Noi ci aspettiamo almeno un milione di persone che, comunque è un milione in più di quelli che scelgono i segretari degli altri partiti e degli altri movimenti politici». Con tecnica collaudata il reggente Pd Matteo Orfini fissa la soglia-flop delle primarie di partito – oggi è il giorno, gazebo aperti dalle 8 alle 20 – così in basso che stasera non potrà che gioire del risultato reale. Se l’affluenza è uno dei test di salute del Pd, vale la pena di ricordare la sequenza storica: 3milioni e mezzo di votanti nel 2007 (vinse Veltroni), 3 milioni e cento nel 2009 (Bersani), 2 milioni e 8 nel 2013 (Renzi).
Da dieci anni in qua molte cose sono cambiate. Non lo statuto Pd, almeno nella norma in base alla quale oggi sarà eletto il candidato premier (del Pd). Nel 2013 Bersani, da segretario, volle una modifica ’ad personam’ per consentire la partecipazione alle primarie di coalizione anche a un Matteo Renzi avviato verso la sua irresistibile ascesa. Se vincerà il favorito Renzi, il problema non si porrà. La legge elettorale ’Legalicum’, e cioè l’Italicum corretto dalla Consulta, non prevede coalizioni, e anche il candidato premier è piuttosto ’il capo della forza politica’ ovvero un candidato di bandiera. Almeno se la lista non raggiunge la soglia che fa scattare il premio di maggioranza.

La possibilità di fare coalizioni è forse la posta più alta del voto di oggi. Non a caso quello di un «nuovo centrosinistra» è stato il mantra dello sfidante Andrea Orlando: con le primarie, spiega, «non si decide solo quale candidato guiderà il Pd, si decide se si ricostruisce il centrosinistra oppure se si decide di fare un’alleanza con Berlusconi. Io credo occorra ricostruire il centrosinistra».
CENTROSINISTRA. Renzi è contrario. Anzi quella di scongiurare il ritorno alle alleanze a sinistra per lui è una certezza inscalfibile. Con la sua eventuale (e probabile) rielezione alla guida del Pd la pagina dell’ultimo centrosinistra, quello vincenti (con Prodi due volte, nel ’96 e nel 2006) e perdente (o ’non vincente’, con Bersani nel 2013), potrebbe essere considerata storicamente chiusa. Lo si potrebbe vedere anche nelle future mosse in parlamento: il suo obiettivo è prosciugare la sinistra, politicamente prima che elettoralmente. Questa è una delle conseguenze della eventuale vittoria di Renzi. Ce ne sono altre.

LA LEGGE ELETTORALE. Assai probabile che resti quella che c’è, capolista bloccati compresi. Al netto delle «armonizzazione» fra camera e senato che chiede il Colle e di alcuni «aggiustamenti» che a Renzi servono per darsi una chance alle politiche. D’accordo con Berlusconi, spingerebbe per uniformare le soglie di ingresso delle camere al 5 % (oggi sono all’8 al senato e al 3 alla camera) per asfaltare i «partitini». La galassia alla sua sinistra è avvertita. Un abbassamento della soglia per il premio di maggioranza dal 40% al 35 – sarebbe la proposta ’coperta’ dei 5 stelle al Pd consegnerebbe al Pd l’arma del ’voto utile’. Visto che per i 5 stelle quella soglia è più vicina, stando ai sondaggi.

LARGHE INTESE. Se al nuovo Pd non riuscirà di acciuffare la soglia per il premio di maggioranza sarà gioco forza – in caso di vittoria – cercare in parlamento gli alleati. Forza Italia è la candidatissima. Renzi non lo esclude. Ma è chiaro che la sua preclusione per le alleanze a sinistra (con quale sinistra, sarebbe tutta un’altra storia) prelude a quella con Forza Italia, o quello che resterà del partito dell’ex cavaliere.

REGIONI A RISCHIO. L’offensiva anti-sinistra manderebbe in fibrillazione le regioni oggi governate da coalizioni di centrosinistra (Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Abruzzo, Sardegna, Marche, Umbria). È già successo nel Lazio e in Toscana. Solo l’ordine di Renzi ha fermato lo slancio suicida dei suoi pasdaràn, soprattutto contro il toscano Enrico Rossi, fuoriuscito con i bersaniani di Art.1. Nel Lazio Nicola Zingaretti ha anticipato i tempi riproponendo per il 2008 la sua candidatura e blindando la sua alleanza di centrosinistra. I renziani hanno fatto buon viso. Fin qui.

MIGRANTI E SICUREZZA. Finite le primarie, è molto probabile che Renzi abbraccerà la linea dura del ministro dell’interno Minniti, di gran lunga più vicino a lui del Guardasigilli. La ragione è elettorale e guarda verso le amministrative dell’11 giugno e le successive politiche. Renzi, sondaggi alla mano, è convinto che il pugno duro porti voti. Lo si è già visto sulla riforma della legittima difesa, sulla quale ha già dato un’indicazione: «Dobbiamo essere in sintonia con il volere dei cittadini: io non ho il porto d’armi ma sulla legittima difesa dobbiamo fare di più».

GOVERNO E ELEZIONI. Per non disperdere l’onda del successo delle primarie e per non doversi intestare una manovra economica che già si annuncia «lacrime e sangue», Renzi tenterà la mission impossible di portare il paese al voto prima della scadenza naturale. Il premier Gentiloni lo sa, ed ha plasticamente mostrato la sua obbedienza schierandosi con lui alle primarie del Pd. Ai raziocinanti il voto anticipato risulta una velleità. Delle date «possibili» filtrate dal Nazareno, non ce n’è una praticabile: non il 24 settembre in concomitanza con il voto tedesco (le camere dovrebbero essere sciolte in agosto), non il 5 novembre, alla vigilia della sessione di bilancio.