Abbiamo atteso il verdetto contro i giornalisti di Al Jazeera tra la polvere della prigione di Torah, nella periferia del Cairo. L’australiano Peter Greste, l’egiziano-canadese Mohammed Fahmi sono stati condannati a sette anni di carcere, Baher Mohammed a dieci. I reporter sono accusati di aver diffuso «notizie false» e aver rappresentato l’Egitto in uno stato di «guerra civile».

Le accuse generiche che sono state mosse durante il processo riguardano la copertura degli eventi del sit-in islamista di Rabaa al Adaweya, nell’agosto scorso al Cairo. Ad attendere il verdetto c’era anche Abdallah El Shamy, giovane giornalista della tv qatariota, rilasciato per le sue gravi condizioni di salute dopo oltre cento giorni di sciopero della fame. «Sono qui per chiedere il rilascio dei miei colleghi. Non hanno fatto nient’altro che informare: il giornalismo non è un crimine», ci ha detto Abdallah. Amnesty International ha lanciato dallo scorso gennaio una campagna per il rilascio dei giornalisti di Al Jazeera a cui hanno aderito i media di tutto il mondo. A sette anni sono stati condannati in contumacia altri 11 giornalisti della televisione vicina ai Fratelli musulmani. Il ministro degli Esteri australiano Julie Bishop e il premier britannico David Cameron si sono detti «sconvolti e contrariati» per la sentenza.

Domenica, in una breve visita al Cairo, il Segretario di Stato Kerry aveva chiesto al presidente Sisi spiegazioni sui processi contro i giornalisti di Al Jazeera (nella foto reuters)e le centinaia di condanne a morte inflitte agli islamisti in Egitto negli ultimi mesi. Proprio ieri, la Corte penale di Mansura ha condannato 78 sostenitori della Fratellanza all’ergastolo per gli scontri della scorsa estate nella città del Delta del Nilo. La visita di Kerry, accompagnata dal rinvenimento di un ordigno – poi disinnescato – in piazza Tahrir, ha segnato la definitiva distensione dei rapporti tra Cairo e Usa.

Gli Stati Uniti hanno sbloccato 575 milioni di dollari, parte degli aiuti militari al Cairo, pari a 1,3 miliardi, congelati in parte dopo il colpo di stato del 3 luglio scorso. Kerry ha anche assicurato che presto verranno forniti all’Egitto gli elicotteri Apache, come promesso dal segretario alla Difesa Usa Chuck Hagel. La scorsa settimana Sisi aveva incontrato al Cairo, e baciato sulla fronte, il monarca saudita Abdullah. I colloqui hanno riguardato gli ingenti aiuti finanziari all’Egitto, pari a 12 miliardi di dollari incluse le linee di credito provenienti dagli Emirati arabi. I due leader avrebbero discusso anche delle crisi in corso in Siria e Iraq. Infine, l’Unione africana (Ua) ha riammesso l’Egitto tra gli stati membri. L’Ua aveva sospeso la partecipazione del Cairo in seguito al colpo di stato militare del 3 luglio scorso.

Anche per gli attivisti laici proseguono le censure. 23 giovani, 5 dei quali del movimento Tyar Masry (Corrente egiziana), vicina agli islamisti moderati, sono stati arrestati e non ancora rilasciati. Infine i movimenti politici hanno espresso dure critiche contro la nuova legge elettorale per le parlamentari, secondo la quale l’80% dei seggi andrebbero a candidati indipendenti, aprendo la strada alla fine del pluralismo politico e al partito unico. Anche i liberali del Wafd hanno criticato la legge che permetterebbe solo a ricchi tycoon di entrare in parlamento.

Oltre a criticare la nuova legge, Ahmed Naguib di Tyar Masry, in un’intervista al manifesto, ha stigmatizzato le divisioni all’interno della giunta militare (Scaf). «Sisi è una marionetta nelle mani dello stato profondo e di Mokhtar Hegazy (suo suocero e esponente dello Scaf,ndr). Hegazy era a guida dell’Intelligence militare quando Hussein Tantawy (guida dello Scaf nel 2011-12, ndr) ha nominato Sisi nello Scaf. Sono dinamiche intricate che tengono unito l’esercito come avveniva con i signori della guerra al tempo dei mamelucchi», ha concluso Naguib.