I risultati dello studio Pride, una ricerca realizzata in 5 paesi europei, confermano la scarsa attenzione agli interventi fondamentali per assicurare la salute dei detenuti, soprattutto di categorie a rischio come i tossicodipendenti. Si tratta delle misure di riduzione del danno, una serie di interventi di salute pubblica destinati a ridurre i rischi correlati all’assunzione di sostanze.

Lo studio Pride fa parte del più ampio progetto «Care – Quality and continuity of care for drug users in prisons», coordinato dalla Facoltà di Scienze Applicate dell’Università di Francoforte, in partnership con amministrazioni penitenziarie, istituti di ricerca e terzo settore, che ha coinvolto nove paesi europei.

L’obiettivo del progetto Care, conclusosi di recente, era di produrre, raccogliere e diffondere informazione ed evidenze scientifiche sul consumo di sostanze stupefacenti tra carcerati, sui trattamenti e sugli interventi di riduzione del danno in carcere, nonché di sostegno all’uscita del carcere. La salute in carcere è questione di salute pubblica, soprattutto per un luogo dove la concentrazione di problemi sanitari è significativa, con tassi di Hiv e epatiti sostanzialmente più alti che nella popolazione generale. Sono diffusi anche i disturbi mentali e il consumo problematico di sostanze stupefacenti.

Lo studio Pride ha investigato il punto di vista del personale sanitario nelle carceri di Austria, Belgio, Danimarca e Italia nel corso del 2013-2014, applicando una metodologia di ricerca già testata in Francia nel 2010: si tratta di un questionario, rivolto al personale sanitario delle carceri, per conoscere quanto sia applicata la riduzione del danno.

Le misure di riduzione del danno investigate sono quelle elencate nelle linee guida delle Nazioni Unite (il progetto ha fatto riferimento in particolare alle linee guida del 2007 dell’Oms «Effectiveness of interventions to address HIV in prisons», e del 2012 di Unodc «HIV prevention, treatment and care in prisons and other closed settings: a comprehensive package of interventions», e cioè: disponibilità di materiale ed attività di informazione ed educazione ai detenuti circa i rischi collegati al consumo di sostanze ed altre attività a rischio per le infezioni quali HIV e epatiti, la disponibilità di test per le infezioni e di «counselling», disponibilità di preservativi e lubrificanti, trattamenti farmacologici sostitutivi per gli oppiacei, presenza di candeggina o altri disinfettanti, vaccinazioni per l’epatite B, profilassi post-esposizione per l’Hiv, programmi di scambio di siringhe, trattamenti farmacologici per Hiv/Aids, prevenzione delle infezioni legate alle pratiche di tatuaggi e piercing. Un punteggio da 0 a 12 misura il livello di aderenza delle diverse nazioni agli standard delle linee guida internazionali.

I risultati dello studio mostrano una scarsa aderenza alle raccomandazioni in tutti i paesi, ma con notevoli variazioni tra i cinque analizzati. Il paese con più alto indice di osservanza è l’Austria, mentre l’Italia ha il punteggio più basso. In generale, le misure più applicate sono i trattamenti con antiretrovirali per l’Hiv e il trattamento farmacologico con metadone per le persone dipendenti da oppiacei. La misura più negletta è lo scambio di siringhe, che non esiste in carcere in nessuno dei paesi oggetto di studio, ma è bassa anche l’implementazione della disponibilità di preservativi. Da ricordare che, tra i cinque paesi partecipanti allo studio, l’Italia è l’unico in cui i preservativi non sono forniti in nessun carcere.

Link allo studio sulla salute in carcere.