Siamo di fronte a un orizzonte politico che, in dimensione quasi totale, manifesta un insieme inestricabile tra insensibilità al ridicolo e insensibilità al malaffare; epifenomeno di un guasto socio-culturale assai profondo e radicato.

Alcuni anni fa Alberto Asor Rosa ha scritto sul manifesto un articolo (Il ridicolo nella storia, 3/06/ 2009) dove descriveva i modi della buffoneria dei capi e della cerchia loro sodali, «quella sorta di parossistica verve istrionica, quell’esibizione facciale-gestuale da saltimbanchi». Mettendo sul tavolo la domanda fondamentale, «come ha potuto quell’isterico condizionamento, non suscitare la reazione che il ridicolo, – nelle sue molteplici forme di buffoneria, inverosimiglianza, dissennatezza – dovrebbe sempre suscitare?». E in un suo altro articolo (il manifesto, 26/06/2013) metteva l’accento sull’assuefazione, mediante assorbimento a dosi progressive (mitridatizzazione), nei confronti di «un vasto e articolato sistema criminale».

BERLUSCONI, OVVIAMENTE, ERA l’oggetto paradigmatico sul quale Asor Rosa costruiva il suo ragionamento. Quell’uomo, certamente anche ridicolo, è stato, ed è di nuovo, protagonista della più riuscita operazione di costruzione di un modello di comportamento pubblico per cui la politica altro non è che la continuazione degli affari, dei mali affari, con altri mezzi.

Dobbiamo ricordare ancora una volta, anzi dobbiamo continuare a ricordarlo continuamente e con forza, che Berlusconi, Previti, Dell’Utri, condannati in via definitiva per gravi attività criminali, sono stati gli ideatori e promotori della vicenda politica di Forza Italia. È certamente riduttivo pensare che il successo di quella forza politica sia derivato soltanto da una logica criminale. Quella logica, però, ha informato di sé aspetti importantissimi delle pratiche di governo, nazionale e locale. Un contesto in cui non percezione del ridicolo ed assuefazione al malaffare sono diventate componenti stabili di una catastrofe più generale

Le ragioni di questa catastrofe, avvenuta da tempo e di cui non stiamo vivendo ancora l’epilogo bensì solo un ulteriore imbarbarimento, sono molteplici. Attengono certamente ai profondi mutamenti delle strutture economico-sociali coniugate con le forme della regolamentazione neoliberista.

IL FENOMENO, PROPRIO COME una scoria del neoliberismo, non ha avuto niente di naturale. Ha proceduto inizialmente e con continuità alla distruzione degli anticorpi. È stato l’effetto collaterale, del tutto prevedibile dei meccanismi regolativi che hanno portato alla marginalizzazione dell’antitesi.

L’antitesi del movimento operaio ha avuto una funzione essenziale non solo nella civilizzazione delle logiche del capitale sul piano strutturale, ma anche nel circoscrivere l’area del ridicolo e del malaffare non percepiti come tali. La trasformazione della plebe in popolo, del ribellismo in resistenza ed azione politica, momento essenziale della contraddizione connaturata alla storia del movimento operaio, è stato il vero antidoto a quel plebeismo (compreso quello dei ricchi) nell’ambito del quale il fenomeno in oggetto è componente non marginale.

La figura retorica utilizzata da Pasolini a proposito dell’antitesi rappresentata dal Partito comunista italiano come «salvezza dell’Italia e delle sue povere istituzioni democratiche», come «Paese pulito in un paese sporco, come «Paese onesto in in un paese disonesto» (Corriere della sera, 14 novembre 1974), ha volutamente carattere iperbolico, ma definisce con notevole efficacia rappresentativa una situazione reale. Una situazione in cui solo l’antitesi, cioè la diversità declinata in tutte le sue forme (culturali, politiche, sociali) è l’ostacolo fondamentale ad altre forme, quelle regressive per i subalterni, di razionalità nuova per i dominanti.

OGGI MOLTI DI COLORO CHE IN questo ultimo periodo, in particolare a partire dagli esiti del referendum costituzionale, avevano, nelle diverse collocazioni, lavorato alla prospettiva di un soggetto politico «radicale» nella visione strategica e nuovo nella forma organizzativa, hanno visto il percorso gravemente compromesso dall’irruzione di logiche del tutto contraddittorie con le linee portanti del progetto. Il rovinoso esito di quella che doveva essere una tappa fondamentale dell’itinerario previsto, ha portato i protagonisti di tale percorso a una divaricazione nelle scelte elettorali, per lo più tra Liberi e Uguali e Potere al Popolo.

Sta emergendo, però, la consapevolezza che tale esito non possa essere considerato come definitivo. La consapevolezza che si debba guardare avanti rispetto all’appuntamento del 4 marzo. Guardare avanti, ma in quale direzione? La nostra parte non ha scelte diverse rispetto al lavoro di dura lena e di lunga durata della ricostruzione dell’antitesi. Primo passo non può che essere il ripristino della coerenza tra la dimensione analitica, su cui esiste notevole concordanza, e le scelte politiche.