La prima notizia è che, in attesa della nuova normativa nazionale di tutela dei ciclofattorini, esistono ancora riders con contratti di collaborazione, dove la paga è oraria e la malattia e gli infortuni sono diritti, così come i contributi e la disoccupazione. La cattiva notizia è che 40 di loro – specie già di per sé rara in un mercato dove il cottimo puro la fa da padrone – perderanno il posto di lavoro entro mercoledì prossimo.

SUCCEDE A BOLOGNA dove 40 fattorini della piattaforma Just Eat hanno ricevuto, con solo una settimana di preavviso, la comunicazione che il loro posto di lavoro non esisterà più. I 40 consegnano per la multinazionale del food delivery, ma sono contrattualizzati da un intermediario, la Deliveriamo Srl di Torino con il suo servizio Food Pony, che ha comunicato la chiusura dell’appalto e di conseguenza la rescissione dei contratti di lavoro con una semplice mail.

«Gentile collaboratore, con la presente ti informiamo formalmente che abbiamo ricevuto disdetta da parte di Just Eat dell’appalto di servizio. Conseguentemente il 23 ottobre 2019 Food Pony cesserà il servizio per Just Eat e, nella stessa data, si concluderanno le operazioni di Bologna». Segue l’esortazione a pedalare, e quindi consegnare, fino all’ultimo giorno. Infine c’è anche l’invito, per chi fosse interessato a non perdere lo stipendio, a provare ad inviare la propria candidatura direttamente sul sito di Just Eat, che su Bologna da tempo sta procedendo con “assunzioni” dirette senza intermediari. Nessun automatismo però, e nemmeno una priorità formalizzata di qualche tipo per avere la precedenza nei colloqui.

ARRABBIATI i ciclofattorini hanno deciso di scioperare fino a domenica sera. «40 riders licenziati da Just Eat senza preavviso – si leggeva ieri su di uno striscione srotolato sotto le Due Torri – No al cottimo! Vogliamo un contratto vero e reintegro subito». Contattata da il manifesto Just Eat spiega che lo stop all’appalto bolognese è legato «soprattutto alla volontà di lavorare allo sviluppo di un servizio che risponda in maniera più puntuale alle esigenze dei clienti e dei nostri ristoranti, in linea con la flessibilità di questo business». Nessuna garanzia di continuità lavorativa (stipendio e diritti compresi) per i 40 lavoratori. Resta solamente una generico impegno a «fornire le opportune tutele nell’ambito della normativa attuale». Che ad oggi permette praticamente tutto.

«Quello che ci sta succedendo è chiarissimo – spiega Luisa, nome di fantasia – Just eat ha deciso di tagliare i costi di intermediazione e ha chiuso l’appalto. Per giunta abbiamo scoperto che i nuovi contratti attivati direttamente dalla multinazionale in città sono a cottimo, senza i pochi diritti che noi ancora conservavamo». Non è tutto. Visto che i fattorini sono entrati in sciopero fino a domenica, sulle chat aziendali dove viene organizzato il lavoro è arrivato anche una sorta di incentivo. La promessa di un euro in più su ogni consegna durante il week end a patto però «che non ci siano più di due rifiuti a servizio». «Sciopereremo in tanti, quindi una proposta del genere è una presa in giro – spiega Alberto – perché con pochi fattorini in servizio e tanti ordini le consegne si accavalleranno: per forza dovremo rifiutarne qualcuno. Quindi addio bonus».

«Quel che sta succedendo ci dice che l’azienda vuole tagliare i costi e abbassare lo standard di tutele per tutti i suoi lavoratori», commenta Nicola Quondamatteo, sindacalista di Riders Union Bologna e autore del libro sulla gigeconomy Non per noi ma per tutti. «Siamo di fronte ad un tentativo di aggirare la nuova normativa in arrivo attraverso una finta scappatoia – spiega Federico Martelloni, giuslavorista e consigliere comunale di Coalizione civica – Questo gioco finirà quando ci sarà una vera stretta sul lavoro occasionale. Nel frattempo quel che succede a Bologna potrebbe accadere anche in altre città d’Italia».