Sabato scorso ho letto con grande interesse su queste pagine l’intervista ad Aboubakar Soumahoro, che in questi giorni ha avuto la grande capacità di saper portare all’attenzione di tantissime persone la voce di migranti e braccianti che affrontano condizioni di vita e di sfruttamento lavorativo inaccettabili. In quell’intervista Aboubakar parla anche della necessità di ricomporre la forza lavoro a partire dalle lotte e in maniera meticcia e intersezionale.
Da ciclofattorino per un’azienda del food delivery ho condiviso pienamente quelle parole perché in questi mesi ho partecipato all’esperienza di Riders Union Bologna che fin da subito si è impegnata a rivendicare diritti e migliori condizioni di lavoro per noi rider, finora sottopagati e con contratti iper-precari.

Recentemente abbiamo incontrato il ministro dal Lavoro Luigi Di Maio. Sinceramente ad oggi non sappiamo a cosa porterà questo confronto, forse a un tavolo di contrattazione nazionale con le piattaforme e a un decreto legge contro il cottimo e per l’estensione della subordinazione. Ciò che è certo, però, è che tutto questo non sarebbe stato possibile se i rider non si fossero autorganizzati come hanno fatto negli ultimi anni in tante città italiane e d’Europa, se non avessero scioperato nonostante i ricatti contrattuali. Un vero cambiamento non può che partire dagli ultimi, dalla loro capacità di far sentire la propria voce, organizzarsi insieme ad altri e dar vita a un conflitto sociale in grado di rovesciare la miseria del presente.

C’è però un altro punto su cui vorrei soffermarmi. Di Maio ha parlato di noi come simbolo di una generazione abbandonata a cui restituire dignità. Su questo voglio essere chiaro: noi crediamo che facciano parte di questa «generazione» tanto i rider quanto i braccianti come Soumaila Sacko, tanto la giovane studentessa italiana che fatica a trovare un lavoro stabile e deve ripiegare sui «lavoretti» quanto il migrante costretto al lavoro gratuito mascherato da volontariato o il facchino dei magazzini della logistica. Siamo tutti accomunati da una vita fatta di bassi salari, precarietà costante, ricattabilità senza freni che ci impedisce un futuro dignitoso.

Il 1 maggio di quest’anno Riders Union è scesa in strada a Bologna con lo slogan «non solo per noi, ma per tutti» e la stessa cosa abbiamo detto a Di Maio il 4 giugno a Roma. I diritti non hanno confini e rifiutiamo divisioni in base al colore della pelle, al luogo d’origine o al documento che abbiamo in tasca. Ecco perché è necessario far dialogare tra loro le tante esperienze di mobilitazione e di nuova organizzazione sindacale che hanno come protagonisti migranti, precari, donne e che dimostrano di avere la forza di dare una scossa al sistema neoliberista che ci ha reso tutti e tutte più poveri e precari. Per questo oggi giugno parteciperò alla manifestazione «diritti per tutti/e» a Bologna, per opporci insieme agli innumerevoli processi di disumanizzazione, esclusione sociale e sfruttamento.

In questa generazione meticcia credo ci sia il seme per una nuova stagione di democrazia, uguaglianza e diritti in questo paese. Sta a tutti noi coltivarlo insieme.

Riders Union Bologna