Quinto giorno di sciopero dei riders di Bologna che hanno scoperto, con solo una settimana di preavviso, di non avere più un lavoro. Le proteste e i volantinaggi andranno avanti fino a domani, giorno di chiusura dell’appalto che la multinazionale del food delivery Just Eat ha deciso di «terminare» per adeguarsi, questa la motivazione, alla esigenze del mercato. Cioè per tagliare i costi. Per i ciclofattorini bolognesi la chiusura dell’appalto, e quindi del contratto che Just Eat aveva con una società intermediaria (la torinese Food Pony), nel concreto significa passare da contratti di collaborazione con paga oraria, contributi e malattia, al cottimo puro. Con la particolarità che i nuovi accordi non prevederanno neppure indicazioni sulla paga: a decidere sarà l’algoritmo dell’app delle consegne.

A Bologna gli interessati dai licenziamenti sarebbero più di 60, almeno 40 lavoratori stranieri. È proprio loro il problema più grande. Oltre a perdere il lavoro, e a non avere nessuna certezza di ottenerne uno nuovo nel passaggio dall’intermediario al committente, c’è chi con la chiusura del contratto perderà anche la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno. Iraniani, libanesi e africani. Tutte persone che con il loro lavoro riuscivano a sopravvivere con paghe inferiori ai mille euro al mese e che riuscivano così ad ottenere i rinnovi dei permessi per restare in Italia. Con le future collaborazioni occasionali che saranno attivate invece potrebbero non essere più così, sopratutto per gli studenti-lavoratori. A Bologna c’è chi prima di Natale si ritroverà senza documenti in regola. «Il nostro è un appello a tutta la cittadinanza: boicottate Just eat», dice Mohammad, due lauree e da due anni fattorino a tempo pieno. «Iniziamo alle 11 e andiamo avanti fino alle 15.30. Poi dalle 19 alle 23. È un lavoro faticoso e pericoloso. Quando ho iniziato pensavo di migliorare col tempo la mia condizione, qui invece sta peggiorando tutto nonostante le recenti promesse della politica».

A lanciare un appello al boicottaggio anche il sindaco di Bologna Virginio Merola. Il caso di Bologna non è l’unico. A fine settembre la Nidil Cgil aveva lanciato l’allarme su almeno 100 fattorini licenziati a Firenze con lo stesso meccanismo. Si tratta, ha spiegato Ilaria Lani (Nidil), di «un licenziamento di massa con l’obiettivo di deregolamentare ulteriormente questo lavoro». Per i riders fiorentini la scadenza è la prima settimana di novembre. Secondo la Cgil sarebbero un migliaio i ciclofattorini che in tutta Italia starebbero per perdere il lavoro per poi, eventualmente, ritrovarlo come a cottimo e variabile nel tempo a seconda delle decisioni del datore di lavoro. «Né da Renzi né da Salvini ho sentito parole su questo tema – ha attaccato il segretario della Cgil Maurizio Landini – Servono subito soluzioni».