Da dove arriva l’incanto della poesia di Penna, che si presenta con tanta chiarezza e luce da rinviare per forza a un mistero? Ogni poesia di Penna – nella sua brevità – sembra essere la scheggia residua di un’esplosione avvenuta chissà dove: per questo è altamente drammatica anche nei passaggi di maggior cantabilità e intimità; ed è un rovello per chi voglia scriverne: contrariamente all’apparenza, richiede lunga pazienza e lungo assedio: un protratto interrogatorio di gelosia, come Giacomo Debenedetti chiamava l’atto critico in cerca di una verità.
Molti ne hanno mandato a memoria qualche verso, utile da citare nelle più varie circostanze: Penna corre perfino il rischio del Midcult; ma si avverta – e stiano con ciò in pace gli amanti dei versi irti e difficili – che Penna è un poeta solo illusoriamente facile. Presenta insidie perfino sul piano immediato (lasciamo stare i simboli). Certe disposizioni grammaticalmente ambigue stanno lì in agguato per chi si contenta di poco, e avvertono che invece occorre leggerlo come merita, alla sua altezza. Perciò Penna non può essere un poeta del Midcult, se non equivocandolo.
Un’altra questione riguarda la presunta immobilità dei suoi temi e dell’articolarsi delle sue forme. È vero: i temi si rincorrono, ma con modulazioni e variazioni che li sfaccettano infinitamente, in una mutazione musicale che si fa astratta nonostante i tratti che la convenzione vorrebbe realistici: ma esiste un punto della sua poesia in cui Penna insegua l’effetto di realtà? Scrutando le fonti della sua poesia, a lungo ritenuta senza radici, si vede quanto l’insieme della sua opera sia una sorta di sviluppo sinfonico continuamente sospeso interrotto rinviato: e mascherato da musica da camera.
Lo si rilegge adesso in un volume a lungo atteso e rincorso da Renata Colorni, direttrice della collana in cui esce: Sandro Penna, Poesie, prose e diari, a cura e con un saggio introduttivo di Roberto Deidier, cronologia a cura di Elio Pecora, «Meridiani» Mondadori (pp. CXLI-1420, € 80,00). I fatti nuovi del volume: la sistemazione delle poesie; la ricognizione filologica sulle carte originali; la pubblicazione dei diari, dei quali viene presentata un’ampia scelta (1922-1976, ma con il nucleo più rilevante negli anni 1928-1931). A questi si aggiungono le prose di Un po’ di febbre, gli autoritratti, le interviste. Cospicui gli apparati: l’introduzione di Deidier a largo raggio, che pone Penna in una prospettiva letteraria e gnoseologica dal respiro europeo, tra Proust e Kavafis; la cronologia di Pecora: una vera e propria biografia densa di fatti e di riscontri di prima mano; il commento di Deidier tra accertamento filologico, indizi interpretativi e interdipendenza dei testi di Penna con la tradizione passata e recente, dove è riversato e incrementato un lavoro quasi trentennale.
Un libro per il lettore nuovo
Particolarmente sorprende anche i vecchi lettori la vicenda editoriale, più tormentata di quanto non si sia a lungo sospettato: nessuno dei libri pubblicati in vita fu esente da manipolazioni editoriali di diversa indole. Solo l’auto-antologia del 1973, pubblicata nei Tascabili Garzanti (nella serie grigia dei poeti) corrispondeva senz’altro a una decisa volontà d’autore: un libro costruito per il «lettore nuovo» (così Pasolini per se stesso nell’importante silloge uscita nella medesima serie): «Queste sono le poesie che al di fuori di qualsiasi critico io stimo più di tutte. Sarebbero insomma quello che io lascerei ai posteri se posteri esisteranno».
Anche lì il destino – chiamiamolo così – ci mise lo zampino. Al ricevimento del volumetto quale non fu la sorpresa di Penna nel ritrovarsi in copertina due endecasillabi che aveva consapevolmente esclusi perché consumati dalla facile notorietà (e trasformati, per di più, in quattro versi per arbitrio nell’impaginazione: «Io vivere vorrei / addormentato // entro il dolce / rumore della vita»; e nel non trovare in apertura «La vita… è ricordarsi di un risveglio», la sua poesia sigla, smarrita dal fascio di fotocopie consegnate all’editore. Reintegrando questa poesia, Deidier ha deciso – con gesto critico e filologico – di porre la scelta del 1973 in testa al «Meridiano», lasciando seguire poi, in ordine cronologico, tutte le poesie, affrontando dunque, con l’ausilio delle carte, la questione della datazione dei versi di Penna. L’edizione di Poesie del 1939 subì intervento censorio; Appunti del 1950, pur «prossima a una possibile volontà d’autore», alla fine non persuase il poeta; per Una strana gioia di vivere, del 1956, si ebbe intervento nell’ordinamento dei testi del grande tipografo Giovanni Mardersteig; Poesie del 1957, comprende i tre libri precedenti con una mera appendice di versi dal 1927 al 1955; Croce e delizia del 1958 subisce la scelta dei testi di Mario Monti, direttore della Longanesi, oltre che la pressione degli amici di Penna (Pasolini, Moravia, Morante), sorprendentemente preoccupati; Tutte le poesie del 1970 riprende Poesie del ’57 e Croce e delizia, aggiungendo due sezioni, che coprono il trentennio 1927-’57: è un libro mirabile e memorabile, che consegna la storia di Penna così come le vicissitudini e non la volontà del poeta l’hanno conformata.
Garboli e Penna Papers
Dopo una plaquette del 1975, sette poesie sotto il titolo L’ombra e la luce, nel ’76 esce Stranezze, che dichiara poesie dal 1957 al 1976, ma il sistema di datazione adottato dal curatore, Cesare Garboli, è già in fase di ripensamento nella postfazione: oggi il nuovo curatore lo dichiara «arbitrario e inaffidabile». Primo libro postumo, pur progettato dal poeta, è Il viaggiatore insonne, 1977, poi confluito in Confuso sogno, curato da Elio Pecora, con testi sparsi e varianti. Nel 1984 in Penna Papers, Garboli pubblica nuovi versi di Penna. Seguono ristampe varie che accolgono la situazione in atto, non mancando, talvolta, di peggiorarla, mentre appare nel 1989 anche un volumetto, Peccato di gola, che suscita, a dir poco, molti dubbi, forse apocrifo, di sicuro costruito arbitrariamente. Abbiamo adesso dunque non solo il corpus completo ma la sua ristrutturazione e restituzione a un campo libero e ordinato solo dal tempo. Se il lettore affezionato alle raccolte potrà ricostruirle grazie agli indici, il nuovo lettore potrà leggere l’insieme come un lungo canzoniere, auto-organizzato dai suoi ritmi e impulsi. Del resto contrariamente a quanto càpita per le raccolte di poeti dalla spiccata fisionomia (per esempio Ungaretti o Montale), per Penna si è sempre scritto, in sede critica, della sua poesia come unico corpus da percorrere unitariamente.
La poesia che concludeva Stranezze si mostra davvero l’ultima di Penna (la seguono solo un raccontino in versi finora inedito e la versione di «Animula vagula, blandula» dell’imperatore Adriano). L’itinerario si era inaugurato con «La vita… è ricordarsi di un risveglio» e col mare tutto fresco di colore, un mare nel pieno della luce o forse l’ecfrasi di un quadro, ovvero un mare appena dipinto (quante ecfrasi di paesaggi e di marine e di nature morte, in Penna: per esempio in «Muovonsi opachi»: «Tre rape mezza mela ed una triste / macchina da cucina vecchia d’anni / sonnecchiano su un tavolo non viste»: una specie di generico Cézanne, o un De Pisis). L’itinerario aveva avuto proseguimento in quella che si deve pur chiamare una ciclicità, un eterno ritorno biologico, alla maniera vitalistica e nietzschiana e darwinista di Comisso: «Tu morirai fanciullo ed io ugualmente. / Ma più belli di te ragazzi ancora / dormiranno nel sole in riva al mare. // Ma non saremo che noi stessi ancora»: e a proposito delle ambiguità stilistiche di Penna, decidete se il primo «ancora» sia da riferirsi a «più belli» o a «dormiranno» o se la sua posizione lo riferisca a tutti e due.
L’itinerario finisce con la poesia veramente testamentaria o riassuntiva di Penna, che dal risveglio approda al sogno, alla verità di sempre invocata in maniera straziata, chiamandone l’iddio dopo aver apposto di nuovo alla parola vita i tre puntini sospensivi: «Un altro mondo si dischiude: un sogno / fanciulla mia beata sotto il sole / medesimo (oh gli antichi / e dorati fanciulli). Un lieve sogno / la vita… / Ricordati di me dio dell’amore». Il suo canzoniere è qui, tra l’una e l’altra sospensione.